Anche a Petrizzi teatro e cultura


13912571 Presentato il Catasto onciario di Petrizzi, intelligente e puntuale lavoro di Antonio Anzani e Antonio Piperata, che lo hanno commentato con grande ricchezza di contenuti. Sono intervenuti anche gli autori di consimili lavori: per Satriano, Giulio De Loiro; per Chiaravalle, Mario Domenico Gullì; sono stati ricordati Marziale Mirarchi, che sta svolgendo il lavoro per Soverato; e il compianto Luigi Fusto, che iniziò il recupero, lavorando per la sua Olivadi. È parso, a chi scrive, inopportuno il pistolotto politico di un altro relatore (mi svaga qui la damnatio memoriae), e che tentasse, dopo un distratto accenno al Catasto, una specie di apologia della politica culturale della Regione Calabria, che è notoriamente zero.

 Il catasto onciario, lo dico qui solo per sunto, è un provvedimento fiscale del governo di Carlo di Borbone, impropriamente noto come Carlo III, primo re indipendente di Napoli dopo il 1503, e che dal 1740 ordinò un’operazione di ricognizione dei redditi familiari di tutti i sudditi, paese per paese. Torneremo sull’argomento, contentandoci di attirare l’attenzione della ricerca storiografica su questo argomento. Complimenti dunque alla Proloco e al suo presidente Celia.

***

 Dopo il teatro di Davoli, ecco il teatro di Petrizzi. “Cantami o Musa” è lo spettacolo dato, l’11 e il 12, dall’associazione Makròs di Miriam Santopolo e Nuccio Pasquale.

 Lo spettacolo è sui generis, integrato di recitazione, musica, coro, danza e fascinose proiezioni. Notevole è la varietà di toni, dal poetico e tragico al prosastico e discorsivo.

  Il tema è il mito di Ulisse, uomo ed eroe, con tutte le sue contraddizioni. Lo si affronta con due quadri, presentati nelle loro varianti: Polifemo e Circe.

 Ulisse (Odisseo) appare quello che è, il polytropos: uomo dai molti avvolgimenti, dai molti aspetti. Egli viaggi per tornare, ma quando torna, desidera ancora viaggiare.

 Questo è dunque Ulisse, la metafora della vita come viaggio senza sosta. Così l’ho inteso io, richiesto di collaborare, e ho dedicato allo spettacolo questi versi:

IL VIAGGIO

A noi più del porto la veloce nave,
il vento più del nido, le alte ali,
a noi più piacque il poderoso passo
di ogni lento riposo; e quando è tempo
di sosta, ramo, bonaccia ed approdo,
ci avvolge un’ombra di fastidio, un pungolo,
una pena sottile; e molto più
noi amici delle vele e dei cavalli
più dei tetti e dei letti di spose
e sorriso di figli e dolci figlie,
ed essere detti re e signori,
noi vagabondi e nomadi e gitani,
noi ai quieti, ai lenti, alle salde radici
lasciamo d‘esser certi della sera
ogni alba che si leva, e ardenti in cuore
per i rossi deserti e i ghiacci e rupi
e onde sempre uguali e sempre nuove,
e teatri di popolo e di dame,
e altari degli dei di cielo e mare
e delle stanche anime dei morti,
se dei abitano il cielo e i flutti e l’Ade,
noi volentieri dolorosi andiamo
gli occhi levati al sole ed al destino,
dove ci sferza il desiderio amaro,
tra amori senza legge e sogni vani
e inquiete notti; e vane guerre e glorie;
e il breve infinito della dolce
furia dell’ingannevole Afrodite,
noi  sorridenti e disperati sempre,
non sopportando sentirci felici,
perché ci colga, la dea Morte, vivi;
a noi cui piace il vino più del miele,
più il sale delle molli e pingui uve,
più di una mite, una donna selvatica,
gatta dalle unghie acute e sinuosa,
indomata poiana; a noi d’amore,
a noi il viaggio è più dolce di ogni meta.

Ulderico Nisticò


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