Autunno 1917, il Piave retroattivo


Chi non ha mai cantato “Il Piave mormorava”? È sicuramente la più cantata canzone guerresca della storia italiana, e dice che il Piave, il fiume, salvò la Patria dall’invasione austroungarica e tedesca. Alla lettera, è vero, solo che ciò avvenne nell’autunno del 1917, e non, come dice la canzone, il 24 maggio 1915. La differenza non è da poco.

Breve riassunto di storia. Nel 1882 salì al massimo la tensione tra Italia e Francia, che, approfittando delle solite indecisioni italiane (stavolta anche sabaude, e non solo borboniche) aveva occupato la Tunisia. L’Italia strinse alleanza con l’Impero di Germania, altro naturale nemico della Francia, e fin qui tutto bene; ma siccome la Germania era alleata dell’Austria-Ungheria, l’Italia entrò nella Triplice, alleanza difensiva in funzione dunque antifrancese.
Per inciso, il conflitto ebbe conseguenze commerciali, e ne patì il Meridione, di cui da secoli la Francia era cliente per uve e mosti e altre derrate.
L’assetto internazionale garantì l’Italia da aggressioni francesi, e assicurò all’Europa la possibile pace: ma lasciava irrisolti i problemi delle “terre irredente” di Trento, Trieste e della Dalmazia; e in Italia trovò contrari i nazionalisti e i democratici.

Un progressivo allontanamento dell’Italia dalla Triplice inizia con il dilagare del timore europeo nei confronti di una Germania troppo ricca, troppo potente, troppo salda al suo interno, troppo colta, troppo tecnologicamente avanzata; e con volontà di espansione. Nel 1905 la Gran Bretagna, invertendo una politica secolare, rompeva l’amicizia con la Germania e si avvicinava a Francia e Russia. Anche l’Italia parve ricomporre i contrasti con la Francia, e ottenne in cambio mano libera in Libia (1911).
La guerra del 1914 scoppiò, quasi all’improvviso, per effetto di automatismi politici e militari; e poiché Germania e Austria-Ungheria l’avevano dichiarata e non subita, l’Italia poté dichiarasi neutrale. Divampò però un movimento interventista di nazionalisti, imperialisti, repubblicani e socialisti rivoluzionari, che, contro la maggioranza dei partiti ufficiali del tempo, costrinse il governo alla guerra. Nell’aprile del 1915 venne firmato il Patto di Londra; seguì la dichiarazione di guerra all’Austria-Ungheria, e non ancora alla Germania, ma solo l’anno dopo. In caso di vittoria, l’Italia avrebbe ottenuto dei territori, cioè quello che ovviamente avrebbe conquistato anche senza nessun trattato; in caso di sconfitta… il governo era troppo piccino per capire che in caso di sconfitta l’Austria avrebbe riportato la situazione al 1815! Fu senza dubbio uno dei trattati più imbecilli della storia, peggio persino dei recenti accordi di Dublino: quanto dire! Ma quella era la classe politica liberale.

Anche l’Italia, come tutti, si era dotata di piani perfetti e atti a dare una rapida e risolutiva vittoria; e che, come quelli di tutti, fallirono. Essi consistevano in una (poi furono dodici!) offensive dall’Isonzo in direzione di Vienna e Budapest. Il Piave, come si vede, non c’entra niente, e viene attraversato, il 24 maggio 1915, come tutti gli altri fiumi e piani del Veneto e del Friuli, verso oriente.
Dopo due anni di poderose e inutili spallate, né Cadorna era capace di altro; il 24 ottobre 1917, un’offensiva austrotedesca sfondava le linee italiane a Caporetto. Si rischiò la disfatta e la fuga generale; e si fece ricorso a metodi feroci per mantenere la disciplina. Si parlò di una linea di difesa sull’Adige, sul Mincio, persino sul Ticino; e si vuole che Vittorio Emanuele III e il nuovo comandante, il napoletano Armando Diaz, abbiano deciso per il Piave. L’offensiva nemica fu effettivamente arrestata su questo fiume.
Nell’estate del 1918, gli Imperi Centrali tentarono l’ultimo sforzo sia in Francia sia in Italia. La linea del Piave parve cedere, ma ressero bene sia la foce del fiume sia il Monte Grappa. Intanto iniziava lo sfaldamento interno della monarchia asburgica. Diaz passò al contrattacco, ottenendo il successo simbolico di Vittorio Veneto. L’Austria-Ungheria chiese l’armistizio, e l’Italia, altro gravissimo errore, lo concesse il 4 novembre, senza nemmeno occupare dei territori nemici.

E. A. Mario, il cui vero nome era Giovanni Ermete Gaeta (1884-1961), di Napoli, e già noto come autore di canzoni e in italiano e in napoletano, aveva composto La canzone del Piave, di getto, il 23 giugno 1918. L’inno divenne subito popolarissimo, e Diaz telegrafò al Gaeta che era stato “più utile di un generale”.
Tutto vero, tutto giusto, se non che la canzone attribuisce al Piave dei sentimenti patriottici già nel 1915, quando, come dicevamo, non partecipò a nulla, divenendo protagonista solo due anni dopo; e, sempre retroattivamente, presenta come difensiva una guerra che invece era iniziata come offensiva.
Ora tutti sono convinti che nel 1915 sia stata l’Austria-Ungheria ad attaccare l’Italia, e non, come fu, il contrario. Potenza della musica!
Non mancano dunque curiose notazioni linguistiche. Come sentite, mormorava il Piave; ma nel 1915 ancora si diceva la Piave; e anche la fronte e non il fronte.

Ulderico Nisticò


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