Bellarmino e la cultura cattolica


Senza la Parrocchia e senza mons. Montillo, Davoli Marina sarebbe solo un grosso e cupo mucchio di case e negozi, e quando questi chiudono, buio pesto. Davvero il contrario dell’urbanistica!

Grazie a Dio, la Parrocchia c’è. La festa di S. Cecilia, celebrata per buone ragioni il 3 dicembre, è stato un momento di socialità e di seria cultura. Molto intenso il concerto (Giuseppe Drosi, Vittorio Corasaniti, Francesco Bruni); raffinati gli interventi musicali di Mariantonietta Barbieri, Maria Caterina Pungì e Maria Vittoria Corasaniti, con la ben nota Corale. Numeroso e partecipe il pubblico, con la presenza di suor Ausilia De Siena, direttrice delle FdMA, e di don Matteo di Fiore, direttore dei Salesiani; e di molti amici anche da Soverato e dal circondario.

Il momento teatrale “Il testamento di Roberto Bellarmino”, contaminazione di testo e musica e coro, è un intenso dramma, liberamente ispirato alla storia, ma volto a provocare riflessioni su un tema difficile, quello della scienza e della fede.
S’immagina che Bellarmino (Pino Vitaliano), di fronte al caso di Galileo Galilei, voglia parlare in segreto non con lui, ma con suor Maria Celeste (Mariana Lancellotti), la figlia prediletta di Galileo, a sua volta attenta alle questioni scientifiche.
Dopo un contrasto dai forti effetti teatrali, splendidamente resi dagli attori, e appena mascherato dal reciproco rispetto, Bellarmino rivela a Maria Celeste un sorprendente pensiero: egli, con la ragione, è convinto che la dottrina di Galileo sia credibile, ma deve affermare il contrario: infatti, la Chiesa, in quel 1616, si deve difendere da protestanti e musulmani, e non può permettere che nelle coscienze dei fedeli s’insinuino dubbi. Il sistema tolemaico non è “vero”, ma dà certezze alle anime, e va affermato. Con la stessa logica, nel 1571 la Chiesa, che pure dovrebbe volere la pace, scatenò la guerra che, con la vittoria di Lepanto, salvò l’Europa dai Turchi; e se non lo avesse fatto “oggi S. Pietro sarebbe una moschea”.

È un caso di prevalenza di alcuni valori su altri: la verità scientifica (si dirà poi, la ragion pura) e la verità morale (la ragion pratica), e la Chiesa deve scegliere questa e non quella, in alcune circostanze. Nessun “oscurantismo”: poco prima, nel 1582, è stata la Chiesa a riformare il calendario, con gli studi del calabrese Luigi Giglio. E aggiungiamo che la protestante Inghilterra aspettò un secolo e mezzo per accettare la riforma; e la Chiesa ortodossa tuttora la rifiuta. Perché Giglio sì e Galileo no? Perché Galileo, malamente interpretato, rischia di insinuare dubbi sulle Scritture, mentre Giglio si limita a trattare di “numeri”, e non mette in dubbio la religione.

Ecco dunque, che se, oggi, una Margherita Hack o il vivente Odifreddi, avessero fatto lei l’astronoma e lui facesse il matematico, sarebbero più credibili di quando i loro interventi entrano in materie di cui entrambi, e Odifreddi molto palesemente, sono poco consapevoli o niente: teologia e filosofia. La filosofia, che inizia con la ragione (logos), ma insegna anche come trascenderla, e giungere a verità sublimi.

Un’ultima riflessione sull’oscurantismo: provate a immaginare un mondo senza i monaci medievali che salvarono il latino e la cultura classica; senza s. Francesco che creò la lingua italiana; senza Dante, Petrarca, s. Caterina da Siena, il Tasso, il Manzoni… ; senza le cattedrali e l’arte sacra; senza Michelangelo; senza il Vico; senza il Palestrina e la musica… La cultura cattolica non ha niente di cui scusarsi con il mondo, e non deve cadere nella trappola di farlo, quasi dovesse ricavarsi un angolino trascurato, pur di farsi accettare. Se mai, deve recuperare gli strumenti del passato: musica, arte, poesia, teatro, cinema… Noi, come si è visto a Davoli, facciamo il possibile… e oltre.

Il lavoro dato a Davoli, e intelligentemente accettato da mons. Montillo, può essere occasione di profonde e vivaci e contraddittorie riflessioni: e già è stato richiesto da istituzioni scolastiche.

Ulderico Nisticò


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