Bombe, e una soluzione per l’Europa


14712127 Osservazione preliminare. Siete mai stati in aeroporto? Certo che sì. Avete visto quante macchinette vi fanno passare? Se avete addosso un euro, suonano come campane a festa, e arrivano quarantaquattro poliziotti. Come fanno i tagliagole ad entrare a Istanbul con mitra in mano e bombe incorporate?

 La Turchia – alla faccia della dittatura di Erdogan! – si è rilevata, non solo oggi, un gruviera in cui tutti possono fare il loro comodo, e l’unico che paga è qualche poveraccio di giornalista. Erdogan è il classico imbecille che si preoccupa delle parole e non dei fatti.

 Ma non scordiamo la Francia e il Belgio, le cui polizie palesi e segrete hanno mostrato la stessa e peggiore incapacità.

 Qui ci starebbe bene l’elenco degli infiniti errori del cosiddetto Occidente, da quando Bush padre iniziò le guerre, e alla fine vennero distrutti gli unici due Paesi arabi moderni e dove, con qualche eccezione per la libertà politica, i cittadini godevano della massima possibile libertà personale; e le donne non andavano in giro come becchini, ma vestite a modo, e stavano al governo. Dico l’Iraq di Saddam e la Libia di Gheddafi. Il terzo, la Siria, si salva per il valore dell’esercito e con il benefico aiuto di Putin.

 Detto questo, mi pare evidente che se i tagliagole possono sgavazzare a Bruxelles e a Parigi e a Istanbul eccetera, ciò significa che siamo tutti in pericolo. Tutti: chi mi garantisce che il califfo non abbia letto lo scritto del compianto Gustavo Valente, “Calabria, calabresi e turcheschi”; o, peggio, il mio “Cropani a Lepanto”, e, scoprendo che molti calabresi combatterono vittoriosamente quel santo 7 ottobre 1571, pensi bene di vendicarsi – la vendetta è un piatto che si mangia freddo – e mandi un cretino a farsi saltare in aria sul Lungomare di Soverato?

 La soluzione è ovvia: quando un nemico ti minaccia, non si aspetta che colpisca, ma si previene, colpendolo noi in maniera risolutiva. Potrei spiegarvi meglio perché si andò Lepanto: ma leggetevi un libro, ogni tanto.

 Ora l’Europa, che è minacciata, dovrebbe attaccare e distruggere il covo dei suddetti tagliagole. Non sto parlando di comodi bombardamenti del deserto con i droni, ma di una guerra nel senso più consueto del termine. Cioè un esercito bene armato raggiunge a piedi le basi dell’ISIS, e fa, per dirla il latino, il classico “ferro ignique vastare”: distrugge ogni casa e ogni tenda, cattura chi si arrende, e spedisce all’aldilà chi si oppone: “parcere subiectis et debellare superbos”.

 Per quanto riguarda l’Italia, l’articolo 52 della costituzione più bella del mondo (io voterò un sì quanto un palazzo!) recita che “La difesa della patria è sacro dovere del cittadino”; quindi tutti zitti, e marciare contro il nemico: tutti, pacifisti inclusi.

 Dite voi, ma l’articolo 11… “L’Italia ripudia la guerra”; certo, è un piccolo saggio delle ambiguità del 1948; solo che non dice così e non lo potere leggere a rate e come vi pare, bensì, per esteso: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Cioè non ripudia la guerra in genere, ma quella indicata di sopra; per tutte le altre, scatta il 52. A parte il sempre valido “salus reipublicae suprema lex”, cioè la salvezza dello Stato prima di ogni scartafaccio.

 Non solo, ma proprio questo articolo 11 ci consente di andare allegramente in battaglia. Non sarebbe, infatti, l’Italia a guerreggiare contro il califfo, ma l’Europa. L’Italia, che dell’Europa fa parte, invierebbe truppe, navi e aerei nell’ambito di una forza europea.

 Qui seguitemi bene. Questa Europa nata a stento e guidata male, manca di ogni energia morale e attrattiva. Ne esce la Gran Bretagna? Due giorni di titoloni, poi arrivederci. Potrebbe, domani, entrarvi chiunque: è come un bar, vado se mi piace il caffè, senza alcun impeto ideale o sogno o mito.

 Nessuna unificazione è stata mai fatta così ed è durata; serve un segno, una memoria comune. O, come dicevano i Romani, “societas contra exteras gentes”: una guerra comune, fraternità d’armi.

 Una guerra presuppone un comando unico; e perciò un governo unico. E questo non potrà essere la grigia commissione, non potranno essere i lauti e inutili burocrati di Bruxelles: e ciò comporterà una diversa selezione della classe dirigente europea. Capito?

 Per questo occorre che la guerra sia europea, senza alcuna partecipazione degli Stati Uniti, i quali del resto, combinano solo danni, soprattutto in Medio Oriente dove c’è Israele e Washington perde i lumi.

 Siccome scommetto dieci cene che lo scemo del villaggio dirà la sua, vi comunico che sono in congedo illimitato dal 24 luglio 1974, e ho superato ogni limite di età, e sono “emeritus” pure per l’esercito romano; però, se mi vogliono…

 Vi chiederete se io abbia bevuto o stia sognando. Certo che sto sognando, e sono misere le probabilità che vada al fronte questa Europa di mollaccioni e filosofi della domenica. Continuerà a prendere bombe in discoteca, esprimendo sdegno e solidarietà. Però quella e nessun’altra sarebbe la soluzione della fosca crisi di credibilità che attraversa questa Unione scarsa di capacità materiali e del tutto priva di radici morali, anzi di un’anima.

Ulderico Nisticò


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