Due province inutili e dannose


Chiunque, provenendo dalla provincia di Catanzaro, ha la disgraziata necessità di entrare in quella di Vibo o quella di Crotone, può testimoniare quanto siano dannose e inutili queste due province. L’ultima avventura a Petilia P. mi è costata una gomma; e sono in numerosa compagnia. La provincia di Vibo, come è noto, è in dissesto, non paga i dipendenti, eccetera. E già alcuni Comuni “vibonesi” chiedono ufficialmente il ritorno a Catanzaro.

Dite voi, ma siamo in crisi, non ci sono soldi… E no: non è che la provincia di Catanzaro abbia scoperto il petrolio come un emirato arabo, è stata ed è amministrata meglio; né i suoi abitanti sono antropologicamente diversi dai confinanti. Ci sono ragioni profonde, e ancora facciamo appello al Vico, il quale c’insegna che “natura delle cose è il loro nascimento”: le province di Crotone e Vibo, nate male, non potevano andare avanti bene.

Ripasso di storia. Le province del Regno vennero istituite nel XVI secolo da Filippo II; in Calabria, due: Citra e Ultra. Il Regno delle Due Sicilie, nel 1816, ne tracciò tre: Citra (Cosenza), Ultra Prima (Reggio), Ultra Seconda (Catanzaro); tale situazione perdurò fino al 1994. Richieste di elevazione a provincia vennero ripetute da Monteleone [Vibo] a Murat e durante il fascismo; e da Crotone in più circostanze.
Negli anni 1930, quando la politica economica del fascismo tendeva a produrre, vennero create due importanti e produttive aree industriali: a Crotone, e a Porto Venere, che intanto diventava Vibo Marina. Negli anni 1980, quando la politica demosocialista era l’assistenzialismo corruttore, si avviò la chiusura delle industrie, promettendo in cambio un’ondata di “posti” parassitari: per l’appunto, le province. Non se ne fece nulla, e al massimo qualche impiegato che lavorava a Catanzaro si avvicinò a casa; e i territori rimasero senza lavoro e senza i “posti”.

Ecco la ragione profonda di un cattivo nascimento, che scatenò pessimi frutti: la chiusura delle attività vere, e le promesse fasulle di sedie e stipendi!
Un corollario sociologico: dove c’è lavoro, c’è anche politica nel senso nobile; e infatti sia Vibo sia Crotone vibrarono di passioni ideali di segno opposto, ma genuine e forti. Tutto ciò è sparito, e con ciò anche la cultura.
Come tutte le cose calabresi, i processi di istituzione delle due province vennero accompagnati da montagne di chiacchiere e scarsezza di dati concreti e argomentazioni territoriali; e prevalsero piccoli interessi elettorali di politicanti locali. Non si compì alcuno studio serio sull’orografia, le comunicazioni, la storia, l’economia… niente, a quasi tutti bastò il gusto infantile di vedere sulle targhe le sigle KR e VV; presto esse stesse abolite o ridotte quasi invisibili!
Logica voleva che la provincia di Crotone si estendesse almeno fino a Cariati sullo Ionio, e a S. Giovanni in Fiore, che è lontanissima da Cosenza e molto vicina allo Ionio. Ne sarebbe derivato un territorio vasto e con variegate e integrate risorse economiche. Niente da fare: di Cosenza non si toccò nemmeno un mezzo centimetro quadrato. Così risultò una provincia con una città ormai priva di industrie; un centro significativo, Cirò Marina; un luogo illustre per storia, S. Severina; e il resto, antichi borghi in evidente degrado economico e spopolamento. A che serve, una provincia come questa?

Per tracciare i confini della provincia di Vibo, si usò il più tonto e brutale dei criteri: le competenze territoriali del tribunale, che risalivano ai tempi di Murat. Fu così che si trovò con Vibo il remoto paese di Nardodipace, che, se ci fosse una strada decente, sarebbe a pochi passi dallo Ionio; e così si dica di Fabrizia e Mongiana; e della stessa Serra, oggi raggiungibile in brevissimo dalla 106.
Il territorio “vibonese” del 1994 risultò assai disomogeneo, con un piccolo capoluogo (34.000 anime, molto meno di Lamezia, Rossano, Corigliano… ), una zona turistica costiera più famosa che consistente, e aree montane distantissime per pessime strade, oltre che per storia e interessi. Un pateracchio da cui non poteva venire nulla di buono, e nulla venne.

E ora? Il primo pensiero sarebbe il più banale: abolire Vibo e riportare tutto dov’era. Mi rivolgo però un’obiezione da solo: perché Catanzaro dovrebbe accollarsi i debiti di una dissennata gestione altrui? Riguardo a Crotone, si può iniziare un ragionamento non dissimile: o diventa una provincia di ampio respiro e vitale, e non mi pare ci siano le condizioni, o meglio chiuderla.

Quanto ai paesi che vogliono passare a Catanzaro subito, ponti d’oro. Logica vuole che tornino, con effetto immediato, almeno Brognaturo, Fabrizia, Mongiana, Serra, Simbario e Spadola. Se a qualcuno andranno strette le scarpe e non verrà rieletto a qualcosa, peggio per lui e meglio per noi.

Ulderico Nisticò


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