Era meglio l’uccello di Del Piero


Finché un asteroide colpisce una famiglia felice di non sapere che esiste una sana e genuina brioche o una donna ricca, affascinante e viziata che dice al suo chauffeur che ha voglia di qualcosa di buono, l’emotività e la libido, seppur intaccati al limite dell’umana decenza, sono diventati strumenti per suscitare ilarità infantile. Se poi, invece di voler stupire, lo spot mira a provocare disgusto (senza realmente volerlo fare) alle schiere di benpensanti che intendono difendere l’amor proprio prima ancora di una fatto sociale, allora giocoforza devi prendere a modello da non seguire l’acqua Uliveto, sbatterla in prima pagina e fustigare i responsabili dell’azienda che, in quanto razzisti, devono fallire. Con buona pace dei lavoratori, anche extracomunitari, che ci lavorano.

Nei giorni scorsi, cavalcando l’onda delle imprese della nostra nazionale di pallavolo femminile, la famosa azienda che imbottiglia l’acqua chiamata Uliveto (sponsor ufficiale della squadra) ha “comprato” pagine intere di quotidiani per ringraziare le ragazze del volley e al contempo farsi una magnifica pubblicità. Ho voluto sottolineare la parola “comprato” perché prima di giudicare un’azienda per una clamorosa svista che, in questo momento particolare, non avrebbe dovuto commettere, c’è da sottolineare che giornaloni sovvenzionati dallo Stato, come il Corriere della Sera o Repubblica, si sono fatti pagare per mostrare quello spot. E se mi paghi, io pubblico. Ma poi, magari, critico. Dopo, però. Perché per sbaglio qualcuno potrebbe indicare anche me come razzista.

Purtroppo, nell’impaginare lo spot, i vertici della comunicazione hanno commesso l’errore di coprire con l’immagine della bottiglia alcune giocatrici della nazionale, tra le quali c’era anche Paola Egonu, italiana di Cittadella, ma nigeriana di origine. Per cui, di colore. I condivisori folli che popolano i social, non solo hanno gridato al razzismo più becero perché, a loro dire, quella bottiglia copriva giusto giusto la suddetta Enogu e un’altra giocatrice di colore, Miriam Sylla, ma hanno propagandato la necessità di non comprare più l’acqua Uliveto (volendo potrebbero comprare l’acqua Ferragni, in sostituzione), per punirli di un gesto così vile che deturpa lo stile italico. Perché è chiaro che un’azienda è fatta solo di profitto e non anche di famiglie che campano con uno stipendio che quei “maledetti razzisti” danno per il lavoro svolto negli stabilimenti sparsi in tutta la penisola. Che poi magari questi cyber-condivisori sono gli stessi che fanno le battaglie per salvare la pasta Rummo o i pandori Melegatti.

Come al solito non si sono preoccupati di verificare la notizia. La smania di apparire buonisti era così forte che il click al tastino “condividi” è diventato talmente compulsivo da sembrare quasi una gara a chi per primo dimostrava di essere più buono, un po’ come quelle sfide nelle feste di paese dove vince chi mangia più torte di mele o sputa più lontano. Ma se l’avessero fatto, avrebbero scoperto che è vero che la Enogu era coperta dalla bottiglia, ma che l’altra giocatrice non era la Sylla, ma bensì Serena Ortolani, anche lei italiana ma bianca. Avrebbero scoperto che era una foto d’archivio, fornita direttamente dalla federazione sportiva, e che non faceva riferimento all’ultimo mondiale giapponese che le azzurre hanno chiuso al secondo posto. Avrebbero scoperto che in quell’immagine mancava la Sylla perché il giorno della foto lei semplicemente non c’era. Però l’importante era lanciare il sasso nello stagno guardando, con divertente preoccupazione, i tanti cerchi concentrici che si sarebbero formati sullo specchio delle acque.

Alimentare in maniera arbitraria il senso di pericolo quale, ad esempio, la deriva razzista di un paese civile, è tanto delinquenziale quanto essere realmente razzisti. L’acqua Uliveto ha commesso l’unico errore di non saper leggere i tempi e mostrare il fianco ai nuovi inquisitori che cercano eretici da bruciare sul rogo. Che l’azienda torni al vecchio e stantio spot in cui Alex Del Piero parla con un uccellino, sperando che nel frattempo qualche associazione ornitologica non voglia accusare l’azienda di aver usato un passerotto chiaro, anziché un bel corvaccio nero.

Gianni Ianni Palarchio (Blog)


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *