Eroe dell’amore fra le due Satriano


Diversi anni fa, scoprii il nome di un militare che risulta fra i caduti nell’Egeo e sepolto nel cimitero di Rodi. Sulla sua lapide nell’isola greca appare soltanto il nome e il luogo d’origine Satriano. Ma a quale Satriano appartenesse (quello di Lucania o di Calabria) non era dato saperlo. La storia appassionò il compianto Raffaele Ranieri, satrianese di Calabria, giornalista della Gazzetta del Sud che per diversi anni indagò e riportò l’esito delle sue ricerche sulla sua ultima opera “Satriano”. Ne uscì una storia appassionante che qualche estate fa occupò le pagine dei Quotidiani di Basilicata e Calabria con cui collaboravo. Ricordo ancora le telefonate ricevute dai rispettivi sindaci dell’epoca di Satriano di Lucania e di Calabria. Ecco l’ultima intervista che feci al compianto Raffaele scomparso nell’agosto di qualche anno fa. Un’occasione per ricordare Raffaele a 3 anni dalla sua scomparsa, e per ricordare Angelo Meliante.
 
Eroe dell’amore fra le due Satriano – di Fabio Guarna
 
Nei prossimi giorni sarà nelle librerie un libro di Raffaele Ranieri “Satriano” per i tipi A/ P Roma.E’ un libro che nasce dalla pluriennale esperienza dell’Autore che non ha mai smesso le sue ricerche sempre a caccia di novità sulla sua Satriano. Certamente per l’impegno profuso,il materiale consultato e “impacchettato” in parte in questo lavoro ha tutte le garanzie e caratteristiche per divenire una pietra miliare tra le opere sulla storia della cittadina ionica e delle pre serre. Un luogo che in passato ha rappresentato il punto di riferimento di una vasta area e che vanta un esteso territorio che si sviluppa dal mare fino alla montagna. Nel libro di Ranieri, che da storico e giornalista non si è fermato solo ad un’analisi dei documenti per raccontare la storia della sua cittadina, ma ha intervistato negli anni tanta gente, soprattutto i più anziani, ci sono tante storie piccole e grandi,qualcuna anche comica. C’è anche la storia di Angelo Meliante, un satrianese (ma di quale Satriano?) che risulta fra i caduti italiani in Egeo nel 1943 e di cui ci eravamo occupati su queste colonne nel 2008 divenute lo start di una ricerca storica durata quasi 5 anni per sapere a chi appartenesse quel nome di cui non risultava traccia negli archivi dell’anagrafe di Satriano e di cui nessuno in città sapeva dire qualcosa, neanche un indizio.
 
D. -So che sei arrivato alla conclusione e che sei riuscito a chiudere il caso.Perché allora ti ha interessato tanto?
 
-Alcuni o in parecchi si chiedono come mai tanto interesse per questa storia “trasversale” alla storia di Satriano.Non è così. E’ parte attiva delle vicende del mio paese. Sempre ospitale,aperto ai forestieri e la conoscenza dell’episodio riesce anche a far comprendere l’atmosfera che il paese respirava in quel periodo di grande crisi economica,come oggi,quando la fame per tante persone era il …pane quotidiano, A mettermi sulla “cattiva” strada se ricordi per la ricerca sei stato proprio tu in una ricerca che agli inizi sembrava veramente utopica. Mi dicesti sfidandomi “Hai saputo niente di Angelo Meliante” ? Ed io “e chi è” ,la tua risposta “Un soldato di Satriano morto in Grecia e del quale nessuno sa niente” Ti ho ribattuto : “e come può essere ,qui a Satriano hanno contato e ricontato i caduti in guerra, anche se non sono riusciti a stabilire un totale certo,hanno persino fatto le targhette per ogni caduto e non …sanno niente?” Mi hai anche messo al corrente di avere interessato il nostro vice Sindaco , Alessandro Catalano e di avere avviato indagini all’anagrafe ma senza alcun “segnale”. E qui è scattato il mio orgoglio di satrianese e di giornalista. Ho iniziato le ricerche a modo mio e a spese mie.
 
D. E quali strade hai percorso?
 
-Ho iniziato le ricerche per conto mio ,anche allargandole nei comuni limitrofi e modificando,ampliando anche il cognome. I Comuni vicini ,gli esperti delle varie anagrafi mi rispondevano sempre “picche”. Eppure il portale del Dodecanneso continuava a confermare “Meliante Angelo Satriano Catanzaro,urna 513”. Alzo il “tiro” e disturbo gli archivi militari. Effettuo ricerche al distretto,mi ritrovo tra le mani i vecchi polverosi fascicoli e registri di quel periodo dove scrupolosamente venivano annotati gli arruolamenti,i richiamati,i volontari. Interpello anche la capitaneria di porto di Brindisi perché era il porto da dove venivano dirottati i soldati per la Grecia.Non vi era alcuna pista.
 
D. Un lavoro lungo. E allora?
 
-Non mi sono avvilito .”Esco” dai confini regionali. Interesso i parroci della San Pietro Apostolo della seconda Satriano italiana(registri distrutti dall’alluvione”) ,mi consigliano di provare anche nei comuni vicini dove il cognome Meliante era diffuso. “Busso” alla vicina Tito con la Parrocchia di S.Antonio, di quella di Santa Maria Assunta di Brienza, dell’Immacolata Concezione della stessa Tito. I registri dei Battesimi in alcune parrocchie sono andati distrutti dall’alluvione,in altre dalla guerra o dai terremoti. Brancolo nel buio. Ma la ricerca insistente ,assillante viene alla fine premiata perché ero riuscito a trovare qualcuno che come me va a fondo delle cose. E un bel giorno in una e –mail a me diretta trovo: “MELIANDE (nota che la T è s diventata “d” ,ma è il vero cognome) nato il 13 aprile 1923 da Meliande Rocco e da Miglionico Paola,celibe,era residente in vita in questo comune alla via Casale Nuono 56.Saluti Rocco Giannotti responsabile del servizio” Era fatta ma non era finita,poi dirò il paese che aveva dato i natali ad Angelo e da dove mi era arrivata la su riferita risposta. Successivamente ho appreso anche che il battesimo era avvenuto nella Parrocchia locale il 27 dello stesso mese e anno di nascita.
 
D. Sì,ma ancora non è la conclusione!
 
– Forte di tali notizie, anche con l’importante correzione della consonante del cognome in una mia visita in Grecia, ho contattato la Diocesi Cattolica di Rodi, con un salto di poco meno di due ore da Atene a Rodi.Il Cimitero cattolico a Rodi si trova proprio appena appena fuori città, sulla strada che porta a Kallitea. Mi riceve Lucilla Conte Janikis, archivista volontaria della Missione Evangelica nell’ Egeo, che già aveva fatto per mio conto le prime ricerche,purtroppo concludendo che l’urna 513 non esisteva più a seguito di lavori importanti nella ristrutturazione della cappella dell’Addolorata in quel cimitero cattolico.I suoi resti erano stati messi nella cripta di un ossario comune in quanto non vi era nessun nome, ma solo numeri, ci dice l’archivista Lucilla. E la salma non era stata richiesta da alcuno per la traslazione dell’urna in Italia. La signora ha potuto controllare i dati che mi ha fornito, sfogliando il registro generale dove sono annotati i passaggi dei vari defunti in quel Cimitero cattolico costruito a cura dell’ Associazione Reduci dell’ Egeo e dove resiste solo un memoriale dedicato ai caduti italiani. Di grande aiuto mi è stata, infine, perché ha saputo indicarmi dove e come chiedere notizie sull’episodio che mi interessava, a Kos, dove sono arrivato in meno di un’ora apprendendo quanto sono in grado di reso contare. Una storia amara, forse come tante. Quando si convive con i conflitti impietosi di guerre, che si possono e si debbono scongiurare se chi ha avuto il compito di governare ragionasse senza abbandonarsi a suggestioni di effimeri poteri. E prima di completare la storia di questo soldato,se mi è consentito, vorrei dal tuo giornale lodare e ringraziare l’impegno profuso tra mille difficoltà del responsabile dell’ufficio anagrafe di Satriano di Lucania Rocco Giannotti che ha avuto la sensibilità di contribuire alla ricerca e alla conoscenza della storia di un corregionale ,di un compaesano ,che aveva avuto la sola colpa di essere stato giovane e irruento in un periodo sbagliato. Altrettanto grato e doveroso il ringraziamento alla responsabile dell’archivio diocesano della cappella Santa Maria di Rodi signora Lucilla Conte Janikis che, pur nelle sue condizioni precarie di salute,ha agevolato le mie ricerche permettendomi di arrivare alle conclusioni. E un pensiero particolare ,anche perché con la rievocazione gli ho causato momenti di profonda tristezza,a quel nonno con la barba bianca che vicino al frangersi dell’azzurra distesa egea ai nostri piedi ,ha rievocato e ricostruito una pagina triste della nostra storia e della sua Grecia,ripercorrendo le tappe della sua stessa vita prima da ragazzo e poi da adolescente a contatto con una invasione prima fascista e poi nazista che ha seminato terrore,morte,disperazione,lutti,miseria in un bellissimo angolo del Dodecanneso. E che dire di ANGELO MELIANTE? L’ho “incontrato” che aveva appena venti anni, l’ho “lasciato” che aveva sette mesi e 27 giorni in più. Pochi mesi ma tanti per una giovane vita spezzata dall’odio e dai furori di una guerra che non ci apparteneva. Angelo Meliante o Meliande è in ogni caso un eroe, ma non un eroe di guerra, dell’odio.E’ un eroe dell’amore. Le due Satriano, di Lucania e di Calabria, sono gemellate da questo giovane, che, considerate le vicissitudini, appartiene anche alla nostra Satriano. Tant’è che se consultate il sito del Dodecanneso o se vi viene la dabbenaggine di arrivare al Cimitero di Rodi vi diranno che Meliante Angelo è ufficialmente di Satriano Catanzaro. E non ci sono alternative. Incuranti se i vari podestà del nostro regime e i “governanti” successivi abbiano o non abbiano riservato anche a lui una targa con il suo nome di caduto in guerra. E’ un caduto in guerra di Satriano, da aggiungere alla storica numerazione. I conti numerici in questi casi non tornano mai. Bisogna ricominciare! Ma a che pro? Ma anche così la storia di Angelo è “monca”.Vi sono tanti perché insoluti. Manca il collegamento tra Angelo e la nostra Satriano. E qui si innesta la vera e purtroppo breve storia di Angelo Meliante ,non un milite ignoto,ma un milite con due patrie ed a pieno titolo.
 
Qual è la vera storia di Angelo Meliante. Dove hai trovato i collegamenti tra le due Satriano?
 
Allora non interrompermi,la descrivo con commozione e d’un “fiato”. Il colosso di Rodi che giganteggiava sulle sponde del Corinto aveva attivato la sua fantasia ancora undicenne sui banchi della quinta elementare, in quell’aula sgangherata che si affacciava in uno slargo che fa angolo con via Casale Nuovo. Non riusciva a capacitarsi che quel “mitico” potesse stare a cavalcioni sulle acque di quel canale che beve dal mare Ionio. Non poteva, tra l’altro, immaginare che, dieci anni dopo, sarebbe stato lui stesso a costeggiare quelle sponde mitiche che lo avrebbero condotto a riassaporare e a perdere non il colosso della mitologia e della leggenda, ma la gigantografia del sublime sentimento umano, sulla solare isola del mare Egeo, che guarda verso la terra saracena di quei turchi che, secoli prima, avevano invaso la sua Lucania e la “sua” Calabria.
 
D. Ma ancora siamo lontani dalla Satriano!!
 
Angelo Meliante, una tiepida mattina di aprile insieme al papà Rocco e alla mamma Paola Miglionico, unitamente ad altri sventurati profughi, si era “abbarbicato” per la Madonneria fino a Curzano. Rifugiati in un casino di campagna tra piante fruttifere e tra una bassa, ma rigogliosa, vegetazione con fiori “annuvolati” presentando un occhio, quasi violaceo, facendo presagire una copiosa raccolta di fave. Angelo aveva compiuto da qualche giorno venti anni e vedeva nella sua forzata nuova sosta in terra “straniera”, una parentesi nel suo cammino immaginato sempre con animo di semplicità e di speranza. Qui non aveva trovato coetanei: erano tutti al fronte, il padre Rocco aveva escogitato l’ “emigrazione” per cercare di scongiurare una inevitabile richiamata alle armi (o altro pericolo) dell’unico figlio e si erano uniti ad altri sconosciuti in un esodo mesto per sfuggire alle rappresaglie che, nella loro zona, erano divenute continue e dolorose. E così Angelo vagava, da mattina a sera, per i sentieri delle campagne, conosceva la vita dei campi, simile a quella del suo luogo natio, zufolava ariette amorose raddrizzando qualche pietra fuori posto alle “armare” appollaiate ai lati dei viottoli di transito. Ogni tanto, specie di primo mattino o all’imbrunire, scambiava un saluto, una chiacchiera con qualche contadino del paese che lavorava le terre della contrada. Ben poco per la sua giovinezza e il suo carattere esuberante . Era in tale permanente estasi di eremita vicino ad un canalone, quando viene elettrizzato da: “signurì puru vui abbiverati ?” Era Teresa B. (il nome è di fantasia perché in paese nella nostra Satriano catanzarese vivono ancora i nipoti della vera Teresa B.): una ragazzotta allegra e loquace di qualche mese più giovane di Angelo. Nell’aria non vi era tempesta: era una giornata calma di fine aprile con un tiepido sole. Senza pioggia, senza vento, senza lampi, senza tuoni. Ma un silente e inviso fulmine in quell’atmosfera di idillio, aveva centrato come inermi (incauti) bersagli mente e cuore di Angelo. Vennero giorni di festa e di grande corrispondenza di amorosi sensi e Angelo e Teresa, a Curzano o in paese, erano divenuti inseparabili. Teresa anche quando avrebbe potuto risparmiarsi la lunga passeggiata a piedi dal paese a Curzano, arrivava con la sua cesta in testa e, con aria canzonatoria e provocatoria, lo salutava : “e che, oia nu abbivirati”?. E venne pure il tempo delle “more” con i tre gelsi nel terreno di Teresa. Erano momenti di dolcezze e Teresa non finiva di raccontargli come la sua mamma, la sua nonna tenevano quegli alberi per dare da mangiare (proprio così) a un “vermetto” che, a tempo debito, dava loro la seta con cui si poteva fare il “corpetto” bianco che lei, quel giorno, portava sotto la camicetta color pesca. Angelo guardava rapito con gli occhi socchiusi e come il baco, ma per errore, anziché una mora, mangiava la… foglia. E Teresa rideva divertita. E Angelo biascicava parole incomprensibili, ma significative che però loro due comprendevano e si rallegravano. Qualche mese dopo fu la stagione delle ciliegie rosse porpora e succose, con Angelo al pari di uno scoiattolo che correva sul ciliegio per riempire il paniere della “sua” Teresa. Correva pure quel giorno di fine luglio del 1943, dopo il bombardamento, che aveva diroccato mezzo paese. Correva quel pomeriggio del 22 luglio come un disperato, con il cuore spinato dal voltafaccia della sua Teresa. Sentiva dirompente nel suo intimo l’affronto e lo sgarro. Gli occhi , lo sguardo, le attenzioni di Teresa avevano anche un secondo interesse. Un atteggiamento equivoco da chi aveva tradito la sua fiducia e il suo affetto.
 
D. E come finì in Grecia?
 
Non una parola ai suoi. Con un piccolo zaino sulle spalle,scappa, vuole scappare non si sa per dove. Ridiscende la Madonnèria, arriva a Crisura , spintona in cerca di uno piccolo spazio sul terrazzino del vagone della Calabro e arriva a Soverato. Da lì a la marina di Catanzaro, dove è già pronta una “tradotta” di altri giovani e, in nottata, arriva a Brindisi. Si unisce volontario a loro. Volontario per il fronte: da dove il padre voleva tenerlo lontano. Destinazione del carico delle giovani forze è la Grecia . Ecco il canale di Corinto, ma non il colosso vagheggiato dall’infanzia, “il colosso” infernale lacerava invece il suo petto. Dal Pireo insieme agli altri si imbarca per una delle isole. Sbarcano a Kos (Coo). “ Da dove vieni?” (non di dove sei o dove sei nato, ed è questa la domanda che mette tutti e tutto fuori strada) gli chiede il caporale che annota tutti e tutto sul registro militare e gli dà la piastrina con numero di matricola. “Da dove vieni?”: da Satriano provincia di Catanzaro (risposta pertinente alla domanda sbagliata) con voce spaesata e velata di pianto risponde Angelo e inizia la sua (dis) avventura per respingere gli assalti, la rabbia degli ex alleati tedeschi che cercavano una base per rilanciare il loro attacco alla Grecia. Il loro campo di “concentramento” è in un grande caseggiato, forse lo stesso dove oggi è il rinomato e lussuoso albergo “Catherine”, mentre il resto del contingente italiano è allocato su un’altura , la più alta dell’isola. Qui, prima dei turchi, c’erano stati genovesi e veneziani e gli italiani con il loro protettorato dal 1912 al 1933. Ci sono ancora resti o ruderi come un castello veneziano. In questo enorme caseggiato, nella parte posteriore che guarda all’abitato, da anni aveva impiantato la sua trattoria un campano, un certo Pietro Borini della contrada Forìa di Napoli. A raccontarci tutto è, invece, un ottantenne del posto, Aristide il suo nome italianizzato, che all’epoca aveva dieci anni e ricorda il filmato di quei giorni. Racconta a tappe riposando, per prendere fiato, per la sua crisi asmatica. Scandisce il suo discorso mezzo greco e mezzo italiano con forza, quasi a volerci “stampare” su un pannello le sue calibrate parole, che sono lapilli per quanti avevano causato quelle violenze ,per i guerrafondai. Racconta: molti italiani sono passati su questi posti. Brava gente fin quando il regime non rovinò tutto con le sue mire di grandezza. E parecchi di loro dovettero scappare. Sì, lo so, volete sapere di quel battaglione che arrivò quando si pensava che la guerra fosse finita. Erano ragazzi allegri e servizievoli.. Io avevo pochi anni, mi trattavano come se fossi un fratellino, mi chiedevano e comandavano a piacimento. Nella trattoria vi era una bellissima figliola, era la figlia del gestore, nata qui, si chiamava, credo che si chiami ancora perché vive e ha dei figli, con un fantastico nome che sa di luce. Il suo nome è Astradeni, un nome luminoso come luminoso era quella piccola stella di ragazza che serviva i soldati italiani. Forse all’epoca aveva poco più di quindici, sedici anni. Io ero bambino, ma ricordo. Aveva capelli e occhi nerissimi, portamento regale, e un modo garbato e accattivante di trattare con tutti. Prese a “filare” con un soldato, che poi si chiamasse Angelo, lo appresi a tragedia avvenuta. Astradeni e Angelo erano divenuti grandi amici. Lei aveva un occhio di riguardo per quel giovane dagli occhi tristi e dal sorriso spento, mesto. Angelo (forse rivedeva in lei la Teresa B della nostra Satriano ) le stava dietro quando il battaglione glielo permetteva. Assaporava il capretto al limone o le tiropitakia calde (sono delle gustose sfogliatine di formaggio) che Astradeni gli aveva preparato. Secondo me, commenta Aristide, erano innamorati. Ma nei primi giorni di ottobre avvenne quel che nessuno avrebbe mai sospettato. Il 3 ottobre 1943 l’isola venne invasa dalle truppe tedesche che vinsero la breve resistenza dei soldati italiani. Il 6 ottobre 1943 avvenne l’ eccidio di Kos quando furono assassinati 103 soldati italiani da parte dei tedeschi e alcuni civili della nostra terra. I sanguinari tedeschi colsero di sorpresa i vostri soldati, non fu un assedio, fu un vero e proprio massacro. Dinnanzi al loro campo, alla trattoria “Catherine” schierarono gli abitanti del posto, io ero raggomitolato in un lucernario e non fui scoperto. Donne, uomini, bambini, anziani furono messi con le spalle al muro e la terza della fila era anche Astradeni. Da una botola della costruzione, serviva per scendere in uno sotterraneo dove si tenevano al fresco le bottiglie del nostro vino “resinato”, e dove si era nascosto, balzò Angelo e si gettò su Astradeni proprio mentre il plotone tedesco mitragliava, senza pietà e con cinismo, su quei tanti innocenti civili e militari italiani e greci. Quando si furono allontanati, da quel mucchio di ossa umane, si rialzò solo Astradeni che Angelo, con il suo corpo, aveva salvato. Piangente lo ricompose, gli fece un segno di croce, lo baciò sulla fronte e, in fretta, prese la strada verso Kèfalo. Si ricordò di me e mi cercò, povera figlia, e mi mise in salvo. Su un traghetto clandestino ci allontanammo. Ho saputo, più avanti negli anni, che Astradeni viveva, forse vive ancora, a Rodi e forse, anzi sicuramente, ha spesso deposto un fiore nell’ossario di quei ragazzi, su quel 513 del suo Angelo. La storia è finita. L’enigma di Angelo Meliante è risolto. Rimane però sempre un nodo alla gola di commozione e di pietà per u giovane e di un padre che aveva voluto tenerlo lontano dalla guerra e che invece ,per un amaro destino,è finito dentro a piedi uniti.
 
Fabio Guarna (Soverato News)

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