Foibe, le radici


 Nei progetti politici, per quanto discordanti, di quanti in qualche modo propugnavano l’unità politica dell’Italia nell’Ottocento, nessun dubitava che tale concetto si estendesse alla Dalmazia, o almeno alle città già veneziane della costa dalmata e a Ragusa.

 Gli eventi del 1859-60 (non posso riassumerli qui: leggete, magari, “Storia delle Italie 1734 – 1870”) non consentirono l’annessione alla Sardegna del Veneto, e tanto meno di Trento, Trieste e Dalmazia.

 La guerra del 1866 (Terza d’indipendenza) iniziò per l’Italia in condizioni di netta superiorità sull’Austria, il cui principale impegno era contro la Prussia. L’insipienza di Cialdini e Lamarmora da parte italiana, e il valore dell’arciduca Alberto dall’altra, determinarono la sconfitta di Custoza; a salvare un poco la faccia, l’ex borbonico Pianell e l’immancabile Garibaldi. Poco dopo, venne battuta dall’audacia del Teghetoff la possente flotta italiana, malamente comandata dal Persano. A stento l’Italia ottenne il Veneto, ma non Trento o Trieste e Dalmazia. Era dunque quella l’occasione storica: gli avvenimenti seguenti lo dimostreranno. Averla persa fu colpa di una classe militare e politica inadeguata alla grande politica e alla guerra vera.

 L’anno dopo, la monarchia asburgica venne scossa dal rischio della crisi interna e rivolta armata dell’Ungheria. Venne trovata la soluzione di due troni indipendenti sotto lo stesso sovrano: Trento, Trieste e la Dalmazia rimasero all’Impero d’Austria; Fiume, al Regno d’Ungheria.

 I due Stati asburgici conducevano una molto diversa politica nei confronti degli Slavi; l’Austria li favoriva e in funzione antiitaliana e in un certo senso antiungherese. Venne incoraggiata l’inurbazione dei contadini croati nelle città dalmate, che, tranne Zara e Fiume, persero presto la loro natura italiana.

 Con tutto questo, l’Italia pose la Dalmazia tra gli obiettivi della Guerra del 1915; e nel 1918 effettivamente la occupò. Nasceva intanto, inopinatamente e anche per volontà francese, una Iugoslavia, che rivendicava quei territori. La Francia vedeva di buon grado un nemico orientale per l’Italia, e soffiava sul fuoco. Scoppiava intanto la questione di Fiume, occupata da d’Annunzio.

 Giolitti, con il Trattato di Rapallo del novembre 1920, si rassegnò a cedere la Dalmazia alla Iugoslavia, mantenendo, con Venezia Giulia, Trieste, Pola, solo Zara; mentre Fiume diventava un’assurda Città libera: nel 1924, Mussolini l’annesse all’Italia.

 Zara e Fiume non presentavano problemi etnici; ma ce n’erano nell’Istria interna e in Venezia Giulia. Il governo fascista operò pesantemente per l’italianizzazione di questa minoranza, causando non lieve risentimento.

 Nel 1941 Germania, Italia, Ungheria e Bulgaria invasero e occuparono la Iugoslavia. L’Italia si annesse la provincia di Lubiana e, con arzigogolati confini, le città dalmate; mentre si allargava di molto il territorio dell’Albania italiana. Si scatenarono sanguinosi scontri tra le truppe occupanti e le formazioni di insorti, ma, essendo queste divise tra nazionalisti monarchici e titini comunisti, il conflitto assunse ogni immaginabile complessità.

 Gli Italiani, nella loro condizione di assalitori e assaliti, adottarono i metodi di ogni occupante di fronte alla guerriglia, che sono sempre durissimi e senza rispetto delle regole della guerra frontale.

 Dopo l’8 settembre 1943, la Dalmazia italiana fu occupata dai Tedeschi, ma anche dai Croati, che, per quanto alleati dell’Asse, da allora si ritennero liberi da ogni impegno, e la Croazia fu l’unico Stato “fascista” a non riconoscere la Repubblica Sociale. Mentre si combattevano tra loro, tutti gli Slavi colpivano gli Italiani, soprattutto quando anche i Tedeschi si ritirarono, e a stento le truppe della RSI difesero Trieste. Intanto i titini avevano trionfato su tutti gli altri Slavi del Sud, ustascia o monarchici, e davano vita a una repubblica comunista, sebbene con un atteggiamento di indipendenza dall’Unione Sovietica. Misero mano a una radicale pulizia etnica, uccidendo migliaia di Italiani e precipitandone i corpi nelle foibe, se non gettandoli vivi; o costringendoli alla fuga. Arrivarono anche a Trieste, compiendo atti di ferocia; ma furono costretti al ritiro da truppe inglesi.

 Il Trattato di pace, o piuttosto imposizione, giacché l’Italia non venne ammessa a discutere, ma solo a firmare in silenzio, sancì la cessione di Venezia Giulia, Istria, Fiume e Zara alla Iugoslavia. Trieste venne eretta nel solito assurdo Stato libero; la città tornò italiana nel 1954, mentre la Zona B restò occupata dalla Iugoslavia; infine ceduta nel 1975.

 Gli esuli dalmati e istriani trovarono stentata accoglienza in Italia, e non furono mai nemmeno risarciti dei beni loro sottratti dalla Iugoslavia.

 Questi sono i fatti: ma oggi, 10 febbraio, vogliano solo rendere onore ai Caduti italiani e alle vittime di quell’ultima italianità dalmata e istriana.

 Oggi la Iugoslavia, aborto storico versagliesco, non esiste più. L’ex Zona B fa parte della Slovenia; Istria e Dalmazia appartengono alla Croazia, e le antiche città vengono chiamate: Pola, Pula; Fiume, Rijeka; Zara, Jadar; Ragusa, Drubovnik; Sebenico, Sibenik; Traù, Trogir;  Spalato, Split.

 Sono ora abitate da Croati; il conato di far credere che fossero croate anche prima è patetico, e la solita reinvenzione della storia.

Ulderico Nisticò


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