Galasso, Croce e l’illuminismo napoletano


Giuseppe Galasso (1929-2018) fu senza dubbio uno studioso serio e di valore; ed ebbe il merito di aver scoperto o evidenziato eventi e nomi e circostanze della storia meridionale. Della scuola di Benedetto Croce, veniva dalla tradizione illuministica napoletana. Detto questo, vediamo cosa sia, questa tradizione illuministica.

Prima dell’illuminismo propriamente detto, Napoli era la roccaforte del pensiero di Cartesio (Renè Descartes, 1596-1650), che dell’illuminismo, per varie vie, è l’antesignano. Tentiamo un sunto: dubbio metodico su qualsiasi cosa; attraverso il dubbio, certezza di se stessi (“cogito ergo sum”); visione geometrica del reale sia naturale sia umano. Nel secolo XVII, la linea di Cartesio divenne quasi ufficiale a Napoli; il sommo Giovan Battista Vico (1668-1744), che a Cartesio si oppone, visse isolato nella sua città; e tuttora, nella cultura meridionale, è ignorato o adattato ad altri pensieri da lui molto lontani, tra cui neoidealismo e marxismo.

Detto questo per la filosofia in senso stretto (e detto in modo così disadorno e banale), veniamo all’illuminismo propriamente detto, che si diffonde nel secolo XVIII in tutta Europa, e non meno in Italia. L’illuminismo napoletano migliore è, per la verità, politico e giuridico, e poco e nulla ideologico e utopistico. Sostenuto da re Carlo di Borbone (1734-59) e dal suo successore Ferdinando IV/III, afferma l’autorità dello Stato sia nei confronti dei feudatari sia della Chiesa, di cui il Regno era vassallo. Gaetano Filangieri si dedica alla pedagogia; il Galanti e il Genovesi all’economia, sulla scia del cosentino Serra, padre dell’economia politica.

La rivoluzione francese, più esattamente le confuse notizie che venivano da Parigi, scatenarono il peggio; e i grandi saggi non c’erano più. I loro epigoni si diedero a sogni di repubbliche e di libertà, che sarebbero rimasti sogni, se, alla fine del 1798, non fosse arrivato l’esercito francese di Championnet. Mentre il re riparava in Sicilia, i “Lazzari”, il popolo di Napoli, presero le armi contro lo straniero: “Sono degli eroi”, commentò lo stesso nemico. Ma era popolo, e facile a cambiare umore, e cambiò idea; alla fine, anche san Gennaro fece il miracolo per i Francesi.
Championnet creò una Repubblica Partenopea con degli intellettuali locali. Questi, privi di ogni effettuale potere, trascorsero alcuni mesi di dotte discussioni se lasciare Calabria o chiamarla Bruzio, e argomenti vari di così evidente urgenza, e che potete immaginare quando interessassero al popolo e al mondo!!! Nel febbraio del 1799, il cardinale Fabrizio Ruffo, con l’esercito calabrese della Santa Fede, riconquistava il Regno, e si avvicinò a Napoli, da cui Francesi fuggirono. Per qualche giorno la Repubblica esistette davvero, anche con episodi di valore militare come al forte di Vigliena; ma, il 13 di giugno, Ruffo entrava in città. Esautorato subito che fu, alcuni illuministi, in numero di 96, vennero condannati a morte. Nel 1806 tornavano i Francesi, questa volta monarchici, e vi rimasero fino al 1815.

Per quanto qui ci riguarda, l’effetto dei fatti del 1798-1815 fu che la cultura meridionale, quasi travolta da questo trauma, rimase ancorata al Settecento, ed estranea ai grandi rivolgimenti intellettuali dell’Europa, e mentre la Germania creava la possente cultura dell’idealismo e del patriottismo, da cui la stagione del romanticismo, il Sud rimase, e rimane ancorato al Settecento, quasi ignorando il romanticismo, la sua crisi, il positivismo, il decadentismo, il dibattito politico e sociale, il futurismo, il fascismo e l’antifascismo. Niente di tutto questo: il Sud, ancora oggi, è fermo all’illuminismo; e aspetta, nel 2018, che si compiano le profezie del 1789.
Prevengo due obiezioni pedanti: ovvio che Croce conosceva Fichte; ovvio che ci sono stati dei singoli meridionali aderenti a qualcuna di quelle correnti, anche dei romantici in senso vero e non di strappacore; ma qui sto parlando della cultura divulgata, della cultura diciamo così ufficiosa del Sud.

Così, se uno è di formazione illuministica, non dubita, per esempio, che il cosiddetto “dominio spagnolo” sia stato, come si legge nel Manzoni, una iattura, anzi ne è intimamente e arazionalmente convinto. Chi no, si domanda se, nel 1503, ci fosse un’altra qualsiasi soluzione; e risponde al volo che mancava, salvo a non finire nelle mani dei Turchi.
Gli illuministi del 1780, e quelli del 2018, credono alla “raison”, la ragione; e pensano seriamente che l’uomo agisca secondo ragione giusta o sbagliata; quindi, se è sbagliata, basta correggerla con un bel ragionamento. Se è sbagliata, lo è, secondo loro, per ignoranza: come se la storia umana non mostrasse milioni di persone coltissime dal comportamento sbagliatissimo, anzi criminale, tipo De Sade!
Chi non è di formazione illuministica, si domanda come mai la Calabria, che non ora ma da secoli è zeppa di laureati in ogni genere di libri, sia l’ultima d’Italia e la terzultima d’Europa; e pensa, giustamente, che l’istruzione non è che faccia tanto bene, se difettano, come in Calabria difettano, le energie; bisognerebbe sempre conservare un poco di sana barbarie!

Non è dunque questione di valore o meno del Galasso, e dello stesso Croce; è questione di condividere o meno la loro interpretazione e lettura dei fatti storici. Chi scrive, non la condivide.
Un corollario: Galasso era un crociano più coerente del suo maestro Croce: questi, infatti, cambiò numerose volte idea non solo in filosofia e critica letteraria, ma anche in politica. Nel 1924 stese il Manifesto antifascista; nel 1935 donò oro alla Patria per la Guerra d’Etiopia; nel 1944, ministro antifascista, guastò la riforma Bottai della Media; nel 1947, invitò de Gasperi a non firmare il trattato di pace… Insomma, una ragione altalena!
Quando ai Borbone, Croce e Galasso e Villari hanno nei loro confronti un atteggiamento palesemente ideologico, anzi di partito; evidenziano così i difetti e tacciono i pregi del nemico, come in comizio. Ancora una volta contraddittorio, don Benedetto, per parlarne male, finì per scoprire molte cose e alla fine ne parlò bene della vecchia Napoli.

Ulderico Nisticò


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