“Ho temuto per la democrazia”


Così afferma, senza ipocrisie, Minniti; e la memoria corre a quando, in volo per gli Stati Uniti, tornò precipitosamente in Italia alla notizia di sbarchi di massa; e, apprendiamo non dai giornali ipocriti ma dalla sua stessa voce, di “barricate”, dice esattamente così, di Italiani che si sentivano ed erano minacciati. Da allora, la nuova politica estera, le navi in Libia, la voce grossa con l’Europa… Minniti è davvero un ottimo ministro degli Esteri. Come? Dite che lo sarebbe Alfano? Alfano? Ahahahahahahah!

Di questo abbiamo già parlato. Vi offro ora una riflessione di filosofia della politica. Racconta Erodoto che, morto Cambise e abbattuta la tirannide del “magio”, i Persiani tennero un pubblico dibattito sulle forme di governo e su quale adottare; ognuno disse la sua, e ci fu chi sostenne la democrazia, poi optarono per la monarchia ed elessero Dario I. Leggete questa pagina, è molto illuminante: insegna che le istituzioni non sono di per sé buone o cattive, sono adatte o non adatte, funzionali o non funzionali alle esigenze di un popolo. Volete un paio di esempi storici?

Il nostro Regno delle Due Sicilie era una monarchia assoluta ma inefficiente, e cadde in tre mesi tutto compreso; il Regno di Sardegna era una monarchia costituzionale, però comandava Cavour, e vinse. Nel 1940 la Francia era una democrazia parlamentare corrottissima e in cui i governi cadevano come le foglie; la Germania, ferrea dittatura nazista, la occupò in 18 giorni. Pare logico, no: dittatura forte e democrazia guasta? E invece, nel 1870, la Francia era la monarchia militare di Napoleone III, e la Prussia costituzionale se la mangiò lo stesso in un solo boccone. Eccetera. Del resto, anche l’Italia fascistissima ha perso la guerra!

Insomma, ci sono democrazie che funzionano e dittature che non funzionano, e viceversa. Il vecchio Senofonte, infatti, scrisse così: “Quando il popolo crede di trovarsi bene obbedendo a un governo, lo fa; quando pensa che, obbedendo, capiterà male, non può essere né costretto né ingannato”. Auree parole, vero? Né costretto, perché già sta male; né ingannato, perché vede il suo danno e non casca nelle promesse.
Dal XIX secolo, l’Occidente e il Giappone hanno, detto in generale, regimi rappresentativi, più o meno generosamente detti anche democratici. Alcuni funzionano da duecento anni; altri hanno subito gravi crisi: in ordine cronologico, Spagna, Italia, Francia, Germania…
Il problema della democrazia italiana fin dalle sue origini (Statuto Albertino, 1848) è che per moltissimi Italiani la vera patria è il partito come ai tempi dei guelfi e dei ghibellini; mentre in Gran Bretagna, dove pure i partiti moderni sono stati inventati, “in guerra ogni suddito presta il cervello al governo di Sua Maestà”; gli Stati Uniti, poi, sono democraticissimi, però di guerre ne fanno una al minuto.

Attenti, non parlo solo di partiti italiani come bande di ladri eccetera, parlo proprio di partiti come ideologie, come inseguitori di sogni e utopie che, detti in comizio o in poesia, paiono veri e possibili; e che o sono irrealizzabili; o, peggio, a volte si realizzano e causano enormi disastri. In Gran Bretagna c’è l’usanza che chiunque possa prendere la parola in un parco, e procurarsi degli ascoltatori, e proporre, che so, lo scioglimento delle forze armate o la deposizione di Elisabetta II; è la greca parrhesìa (parrasia, in dialetto nostrano), libertà di espressione; però mica determina la politica dello Stato, è solo lo scilinguagnolo di un simpatico matto. In Italia, per tornare a Minniti, il problema non è e non è stato tanto il numero non proprio enorme di “migranti”; è stato il martellamento quotidiano che veniva da ambo le sponde del Tevere; è stato il preside scemo che aboliva la mortadella perché di maiale; il pretino dialogante fanatico che toglieva il Crocifisso; è stata la proclamazione di società multietnica; è stato il cimitero dei migranti che per grazia di Dio sono solo chiacchiere di Corbelli… insomma, un diluvio di utopie parolaie, che, come sempre accade, hanno suscitato per reazione il disgusto universale.

Minniti, che è un uomo di buon senso, ha capito che a rischio non era la marginale questione dei “migranti”, erano proprio le istituzioni, qualora le “barricate” fossero diventate non un modo di dire, ma veri sbarramenti di strade, o peggio. E ha detto una cosa semplicissima, che chiunque doveva dire già molti anni fa, ed è il contrario di ogni buonista teoria campata in aria: “C’è un problema? Risolviamolo”. Con un corollario sottinteso che è il contrario della retorica europeista obbligatoria: “Con Dublino l’Europa ci vuole incastrare: denunziamo l’accordo, e sono guai loro”.
Insomma, anche l’Italia dovrebbe imparare, una volta tanto in quattro millenni, che le belle parole sono una cosa e la realtà è un’altra, tutt’altra.
La retorica domina l’Italia da sempre, e il Sud ancora di più. Se un meridionale ha la febbre a 37,5, non dice “Avverto del malessere”, ma grida “Staju morendu”; e il bello è che il sociologo di passaggio ci crede alla lettera, e chiama il 118, poi scrive fiumi di pagine sulla miseria del Meridione e le malattie che causano stermini di milioni di persone, e ci campa sopra, e gli assegnano subito un premio letterario retribuito in denaro!

Ulderico Nisticò


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