Il filosofo della Trinità: Gioacchino.


“Matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via
che tiene una sustanza in tre persone.
State contenti, umana gente, al quia;
ché, se potuto aveste veder tutto,
mestier non era parturir Maria;
e disïar vedeste sanza frutto
tai che sarebbe lor disio quetato,
ch’etternalmente è dato lor per lutto:
io dico d’Aristotile e di Plato
e di molt’altri”; e qui chinò la fronte,
e più non disse, e rimase turbato”.

Così Dante, nel III del Purgatorio, affronta e conclude la questione della Trinità, di cui oggi si celebra la festa, e si ribadisce il dogma. Se la mente umana fosse capace di comprendere la metafisica, e un così grande mistero, non sarebbe stata necessaria la Rivelazione; e già Platone, Aristotele, Virgilio avrebbero conosciuto la Verità. Dico la mente nel senso di intelletto, non la ragione, che è una facoltà inferiore e solo descrittiva, e, come insegna Kant, arriva solo a matematica e fisica.

Ma la metafisica, chioso io, è come se volessimo disegnare un punto; tracceremmo sì un qualcosa di piccolo piccolo, ma sarebbe, su un foglio, un cerchio; nella realtà, una sfera, e non un punto, che è senza dimensioni, perciò inconcepibile, un assioma. Ma senza il punto, che non ha corpo, non ci sarebbero i corpi. Basta, al dogma il credente deve credere senza titillarsi con dubbi manualistici; e chi non crede, non crederebbe nemmeno vedendo. La Fede è un atto di coscienza e di vita, non un teorema; e nessuno mai visse o morì o combatté o pianse o cantò per i cateti e l’ipotenusa!
Gioacchino da Fiore è il filosofo e teologo della Trinità, e ispiratore profondo dello stesso Dante. Egli ritiene che la storia del mondo, e anche quella dell’uomo, siano triadiche: un’età del Padre, dura e severa come nell’Antico Testamento; un’età del Figlio, misericordiosa come nel Nuovo; e verrà l’età dello Spirito Santo con la fine della storia umana. Da questa visione si traggono conseguenze morali: la legge inesorabile cede alla legge con l’amore, infine a un tempo in cui non ci sarà bisogno di legge e di autorità che la impongano. È palese la struttura della Commedia, fondata sul tre: la punizione dell’Inferno, il perdono del Purgatorio, la pace infinita del Paradiso. Il Liber figurarum, con mirabili disegni forse di mano di Gioacchino, viene messo in versi nel XXXIII della terza Cantica.

Il teologo calabrese fu molto combattuto, accusato di voler annientare e Chiesa e Impero; e le sue dottrine vennero giudicate “errate”, anche se non eretiche. Il suo pensiero si diffuse ugualmente, soprattutto in ambienti francescani; e fu inteso come profezia. Era stato considerato profeta in vita, ma Tommaso d’Aquino gli attribuisce solo “sana congettura di mente”, cioè capacità di capire i segni dei tempi e intuirne le conseguenze.
Dante lo proclama “di spirito profetico”; Colombo lesse avidamente i libri gioachimiti come annunzio di un nuovo mondo; e tutti i filosofi o sognatori della fine della storia in qualche modo si rifanno a lui. Vaghi echi gioachimiti si sentono in movimenti irenistici e palingenetici anche popolari; ricorderete che utilizzò il nome di Gioacchino nella prima campagna elettorale Obama, invocando quella pace per cui ottenne il Nobel… e poi scatenò un visibilio di guerre!
Notissimo nel mondo, Gioacchino è scarsamente o nulla considerato in Calabria: come tutto il resto della nostra storia e cultura. Gioacchino, poi: pensate che, in tutto il suo pensiero, non c’è nemmeno un piagnisteo, una faccia da funerale: e in Calabria è cultura solo quella cimiteriale e depressa e politicamente corretta. C’è un meritevole Istituto di studi gioachimiti a S. Giovanni in Fiore, che opera però solo nel campo della filologia. Regione, Università, dotti calabresi eccetera, non hanno mai sentito nominare Gioacchino nemmeno per sbaglio.

Ulderico Nisticò


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