Il ritorno di Alarico


alarico1 La Calabria ha una straordinaria capacità di ignorare la propria storia, e quando ne parla, lo fa sempre in qualche maniera grottesca. E siccome, qualunque cosa succeda, siamo in Calabria, si vede benissimo che quando si finge di fare storia del passato, in realtà c’è sempre sotto sotto una lite per fatti contemporanei, qualche dente avvelenato di natura strettamente personale.

 Tale premessa, sempre valida, è validissima a Cosenza a proposito di Alarico, che ogni tanto ritorna di moda. Per discutere dei Goti? Per affrontare l’affascinante tema del gran duello europeo tra Alarico e Stilicone? Per lasciarsi affascinare dalla mirabile figura di Galla Placidia, regina dei Goti e imperatrice dei Romani? Per approfittare dell’occasione e studiare la storia di Cosenza e della Calabria, di Alessandro Molosso, Archidamo, Spartaco, Sesto Pompeo, Ibrahim, Cola Tosto… Ma va’, in Calabria, siamo, e tutto, anche Stilicone (chi era costui!), serve solo a pettegolezzi locali.

 A Cosenza si scontrano due tesi altrettanto campate in aria:

  1. Scavando scavando troveremo la Buonanima con tutti, e dico tutti i tesori saccheggiati a Roma e città varie, quindi qualche tonnellata di oro, argento, diamanti, lapislazzuli e ninnoli vari, ivi compreso un candelabro a sette braccia.
  2. Non è vero niente, dice Battista Sangineto, chiamato la seconda volta a favore di telecamere, e per mezzo telegiornale: il suo unico motivo è il più debole che ci sia nella ricerca storiografica e filologica, il cosiddetto “argumentum ex silentio”.

 Insomma, siamo allo scontro tra opposte tifoserie; e, palesemente, con finalità che poco hanno a che spartire con i Visigoti e qualsiasi altro popolo fuori e dentro l’Impero. Sangineto attacca sarcastico, Occhiuto risponde stizzito. Cerchiamo invece di capirci qualcosa?

 I fatti: Alarico, assunta la guida dei Goti, persegue una politica altalenante tra minaccia armata e tentativo di farsi accettare dai Romani, in concorrenza con Stilicone, egli stesso del resto un vandalo. Dopo il saccheggio di Roma, Alarico prosegue verso il Sud, e intende passare in Africa. Impedito da una tempesta, torna indietro, e muore a Cosenza. Non è inutile ricordare che Spartaco, molti secoli prima, aveva raggiunto Reggio per imbarcarsi su navi di pirati; tradito, tornò verso nord. Autari, re dei Longobardi, giunse allo Stretto e, scagliata la lancia, lo proclamò termine del suo Regno; ma il confine effettivo restò sul Savuto.

 Torniamo ad Alarico. Della sua morte dice Jordanes… Jordanes, asserisce Sangineto, scrive 150 anni dopo. E già, invece Polibio, Livio, Dione eccetera erano tutti contemporanei, anzi compagni di classe di Annibale e Scipione! Argomento debole; e ancora più debole che la sola fonte sia Jordanes. Che poi non è nemmeno vero: anche Isidoro scrive che Alarico morì in Italia; il suo punto di vista è iberico, e gli interessa non dove ma che Alarico sia morto, e Ataulfo dall’Italia abbia condotto i Goti in Spagna.

 Altrettanto debole è il sogno cosentino e calabro di trovare, nel Busento, le suddette tonnellate di preziosi… da trasformare in euro, e “colmare il divario”, “superare l’arretratezza”: che poi, nella testa dei Calabresi, significa tanti, tanti, tantissimi posti fissi a Stato, Regione, Province, Comuni… s’intende con poca o nessuna prestazione d’opera. Tanto, paga Alarico!

 Questa è l’unica obiezione seria all’ipotesi di sepoltura con brillocchi; e, siccome è seria, non è venuta a mente a nessuno! Che Alarico, morto a Cosenza, sia stato sepolto lì stesso, è ovvio: i Goti erano ormai da molto tempo cristiani, sia pure ariani, e non praticavano né incinerazione (come moltissimi popoli nomadi e seminomadi) né tanto meno mummificazione; e il corpo del re non poteva che essere inumato.

 Ora l’obiezione: il rito narrato da Jordanes non è certo cristiano, e viene accompagnato da sacrifici umani, sia pure di prigionieri romani. È un rito barbarico, da guerriero a cavallo; da capo vichingo bruciato con la sua nave. Le sepolture cristiane, poi, non comportano oggetti rituali, e oggetti in genere.

 Obiezione debole. Il cristianesimo, ormai religione ufficiale dell’Impero, e, in versione ariana, accettato dalla maggior parte delle tribù germaniche, impiegò di fatto secoli a far cessare credenze e costumanze, e basta un’occhiata all’evidente sincretismo nella religione popolare attuale. Lo stesso 410, quando Alarico era alle porte vennero celebrati a Roma dei riti deprecatori etruschi, incredibilmente conservati presso qualche famiglia! Figuriamoci i barbari, se si facevano scrupoli canonici.

 Infine, l’obiezione finanziaria. Mi pare buffo pensare che i Goti abbiano saccheggiato l’Urbe e mezza Italia, per andarsene e lasciare il bottino in una fossa, e a portata di mano dei passanti. Il bottino seguì Ataulfo e Galla Placidia in Spagna, dove seguì le complicatissime sorti dei vari regni visigotici in guerra tra loro; e, dopo il 711, quello che finì in mano araba e rappresentava figure umane sarà stato fuso. Se mai, avranno deposto con il re qualche oggetto… e chissà se nei secoli non ne abbiano già goduto qualche antico contadino o moderno tombarolo.

 Con tutto questo (tanto le obiezioni le faccio solo io e mi rispondo da solo!), un lavoretto si può fare. Scavi? E come, a caso? Con la bacchetta del rabdomante?

 Servirebbe un’attenta ricognizione preliminare di due tracce, se ce ne sono: la toponomastica, e il recupero di qualche leggenda autentica, genuinamente popolare.

 Eh, ma così non si fanno scoperte sensazionali, da prima pagina, da Festival dei Goti…

 Serve anche mettersi in testa che si sta cercando Alarico, e non le oniriche tonnellate di soldi, che mai furono e non ci sono di sicuro; e si tratta di una ricognizione archeologica e ricerca storiografica, e non delle prossime elezioni comunali di Cosenza o altra roba del genere.

 A proposito, a Cosenza non c’è un famosissimo assessore alla Cultura, molto molto di moda? O per Sgarbi, Alarico chi era costui?

Ulderico Nisticò


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *