La corruzione della Calabria e la Corte dei conti


cortedeicontiDi fronte allo stile barocco ed epocale della Corte dei conti di Catanzaro, mi sono sentito – e ce ne vuole! – quasi un inoffensivo moderato. I giudici hanno tuonato con parole immaginifiche, facendo appello al Gattopardo e ad altra letteratura, e informandoci che la Calabria è profondamente corrotta in capite et membris, cioè non solo la classe dirigente, ma tutti quanti; per l’ovvio motivo che se uno ruba e nessuno controlla, sono tutti colpevoli (“chi custodirà i custodi?”, si chiede Giovenale), e non ci sono i buoni e i cattivi. Si ruba in mille modi, mica andando di notte a pigliarsi un capretto o a svendemmiare, per usare un caldo del dialetto.
Da notare che la Corte non ha detto che la società civile è sana e la mafia, invece, segue cena. Ha detto che è marcia proprio la società civile, che piglia contributi indebiti, che inventa false aziende e Isotta Fraschini e poi le chiude, che apre conti correnti estinti la settimana dopo… il tutto con la complicità di banche, uffici, Enti comunali, Regione e Stato. E con scarsissima azione di sorveglianza e repressione da parte di tutti…
…ivi compresa la Corte dei conti, a parte una relazione annuale. Nel resto dell’anno, che provvedimenti assume?
Hanno anche detto, i signori giudici, che i funzionari regionali eccetera sono pigri e ignoranti, e non fanno nulla per migliorarsi. Ma guarda un po’! Aggiungo io che nessuno li stimola, nessuno li punisce: e già, la sera sono tutti assieme alla cena del “club service”; resta da vedere se con o senza grembiule.
Aggiungo ancora, e una riflessione molto politicamente scorretta. I due più grandi imperi della storia, quello romano e quello britannico, sono stati messi assieme da persone non esattamente scrupolose: pirati, e quel Mamurra per cui Catullo scrive a Cesare “Hai conquistato la lontanissima Britannia perché costui si mangiasse due o trecento milioni”. Però, tra una crapula e l’altra, tra un delitto e l’altro, portavano a casa qualcosa, e che qualcosa! E Cesare scrive tra le pagine più belle della prosa mondiale; e gli spietati ammiragli inglesi del XVIII e XIX secolo componevano elegie in greco classico. I nostri corrotti di paese non scrivono manco una cartolina illustrata; non rubano più dello stipendio, che rubano; non spendono i fondi europei per paura di compromettersi; parlano in dialetto con vago spruzzo di italiano scolastico: ve l’immaginate, a Bruxelles, a discutere con l’Europa? E i fondi volano…
Eppure, secondo la Corte dei conti, la Calabria è corruttissima. Quando faremo qualcosa, e tutti, dico, compresa la Corte dei conti? Mai, perché se i corrotti sono assai più dei passabilmente onesti, questi restano in netta minoranza; a parte che i più dei pochi onesti sono onesti solo per incapacità. Chi fa qualcosa? Certo, nessuno di questi illustri personaggi dal 1970 in poi: di destra (di destra? ridete!), G. Nisticò, G. Chiaravalloti, G. B. Caligiuri e G. Scopelliti proseguito in Stasi; di sinistra A. Guarasci, A. Ferrara, P. Perugini, A. Ferrara di nuovo, B. Dominijanni, F. Principe, R. Olivo, G. Rhodio, D. Veraldi, L. Meduri, A. Loiero; e M. Oliverio.
Ci vuole un commissario giapponese con traduzione in tedesco, e con potere assoluto su tutto e su tutti, inclusa la Corte dei conti e il resto della magistratura che ha la corruzione sotto gli occhi e non se ne accorge: distrattoni! O se ne accorge?

Ulderico Nisticò


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