Le feste goliardiche di un tempo che fu


Una foto ormai sbiadita mi riporta alla mente le feste goliardiche, un’altra qualità perduta della Soverato che fu. Bisogna che prima vi spieghi, giovani lettori, cos’era mai la Goliardia.
Quando, nel Medioevo, nacquero le università, erano delle vere comunità culturali, quasi Stati indipendenti, abitate da “clerici vagantes”, studenti e professori che passavano da una sede all’altra, insegnando e imparando, e, nelle more, godendosi la vita. Il tutto, rigorosamente in latino: Gaudeamus igitur, iuvenes dum sumus…

Una raccolta di canti e versi è nota come Carmina Burana, e rende bene questa idea, con satira del mondo, dei re, della stessa religione, della morale. Divertitevi a tradurre questa raffinata battuta, confessione di un goliarda stanco di godurie: Sed pluralis genitivus mihi factus est nocivus!
Il mondo degli studi era lieto e malinconico come è sempre la giovinezza, e ha ispirato piaceri e tristezze del pari. Si pensi ad Addio giovinezza, di Camalio e Oxilia.
La Goliardia aveva le sue leggi ferree, prima delle quali una rigorosa gerarchia, segnata dagli anni di corso: “siderei extracursus, excellentissimi laureandi, venerabiles antiani, saldae columnae, faseoli, foetentissima matriculae minus quam merda”. Le povere matricole venivano sottoposte a ogni angheria e ogni scherzo, superando i quali con spirito e intelligenza, venivano finalmente ammesse da pari alla comunità goliardica. Ciò avveniva durante le Feriae matricularum, o Festa della matricola.

Poiché siamo in fascia protetta, non vi canto le canzoni latine e italiane del tipo “La contessa di Castiglione… ”, o “Il Cosacco…”, o “Conoscete Fanfulla da Lodi… ”. A Fanfulla dedicai una commedia in cinque atti, letta in privato, e in pubblico mai rappresentata e mai rappresentabile!
Soverato, sede di Liceo classico da decenni, poi di altre scuole, annoverava moltissimi studenti universitari, che, tornati per le vacanze, introducevano in paese i riti della Goliardia.
Si ricordano feste goliardiche già molti decenni fa; l’età d’oro va, a mia memoria, dal 1960 circa all’ultima vera festa, quella del 1972; seguirono tentativi poco fortunati e ultimi.

Tutto iniziava con l’elezione di un comitato: e tutti gli espedienti e trucchi procedurali erano ammessi! Il comitato, così ottenuto, decideva innanzitutto il tema della festa. Quella del 1970, fu la Luna, dopo lo sbarco dell’anno prima; quella del 1971, cui si riferisce la foto, il mondo omerico e greco in genere; eccetera.
Il luogo, uno o due anni fu l’ex Quarzo (restano affreschi ai muri); di solito, il Miramare.
Varato il programma e stabilita una data, di solito per i primi di agosto, iniziava la divertente e lucrosa questua per le case e le strade. Fatta la tara di cene e pranzi e svaghi, era la base del finanziamento. Qualche rara volta intervenne il Comune, che comunque concedeva i locali gratis.

La festa era preceduta da manifesti in latino maccheronico. Inventato nel XVI secolo dal Folengo, era una curiosa lingua dei dotti, con perfetto rispetto di grammatica e sintassi della lingua di Cicerone, però con parole inventate o italiane o dialettali dalla fantasiosa declinazione. Per esempio, riunirsi attorno al tavolo di un bar si chiamava “assettatio, onis”.

Letto l’ambiguo e poliglottico manifesto, accorrevano da tutta la Calabria e oltre gli studenti e la popolazione che partecipava ai giochi e alla serata danzante; con grande guadagno della festa e degli organizzatori.
Altri tempi. Oggi gli studenti, usciti da scuole serie ma anche seriose, non conoscono ironia, sarcasmo, calembours, parodia della Divina Commedia, paradossi sulla storia. Non sarebbero più capaci di passare un’intera notte a immaginare gli uomini dell’età della pietra a lanciare volantini pubblicitari di granito ammazzando gli acquirenti, e altre amenità da teatro dell’assurdo, concludendo con la scoperta che d’inverno vestivano “pura lava vergine”; o inventare lingue come l’armeno (armeno così ci capiamo, era la ratio glottologica), in cui “sigaretta” diventava “sigacurva” e chi ne creava di più ardite, più si rideva; o darci titoli nobiliari in arabo o tedesco o francese anch’essi goliardici; o giocarci Regni e Province a tresette… E, tra una follia e l’altra, giù profondi discorsi di filosofia e scienza e poesia…

La Goliardia è stata uccisa e sepolta dalla scuola di massa e dall’urgenza del pezzo di carta per trovarsi il posto; e dalla fine dei tabù moralistici che era gustoso trasgredire. Pace all’anima sua, non potrà mai resuscitare. I vecchi che l’abbiamo conosciuta, possiamo solo nostalgicamente canticchiare “in taberna quando sumus non curamus quid sit humus… bibit era, bibit erus, bitit miles, bibit clerus… ”.

E non vorrei che qualche bacchettone capisse male. Fu dai goliardi che nacquero movimenti polityici e culturali di fervente e alto livello, come i moti risorgimentali e l’interventismo; e il 68, prima che finisse nelle grinfie dei politicanti di mestiere. Ma eravamo capaci, per dirla con Dante, del vero e del trastullo!

Ogni tanto mi viene l’uzzolo di organizzare un raduno di decrepiti; aperto anche al pubblico, ma purché chi vuol partecipare firmi una liberatoria, o finiremmo i nostri anziani giorni nelle patrie galere.

Ulderico Nisticò


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