Le stelle e il mito


 Il 10 a sera tardi, a Davoli, mettiamo in scena i miti delle metamorfosi in stelle. Sono tantissimi, e ne ho scelti alcuni di grande potenzialità emozionale. Già, il teatro non sono piagnistei e sproloqui e filosofia “fin de table”; il teatro…

  • Θέατρον (thèatron), dal verbo θεάομαι (theàomai), significa atteggiamento di partecipazione; e il pubblico diviene così un attore dell’azione scenica, e gli attori del palcoscenico interagiscono con esso;
  • teatro è dunque intensità di sensazioni; e chi convoca il pubblico deve saper comporre un testo, affidarlo a buoni attori, e farsi accompagnare da musica, danze, effetti, luci, costumi…
  • ma perché mettere in scena il mito, e non piuttosto un lavoro di ambientazione quotidiana e borghese? Beh, il primo motivo è mio: io compongo il testo, e compongo come “ditta dentro”, cioè come mi pare; l’altro è oggettivo: di banale e pesante e stucchevole realismo abbiamo tutti le tasche piene, ne vediamo ogni giorno dal balcone, e non serve né scriverne né vederlo a teatro; e siamo circondati, ahimè, da un’umanità noiosa e prevedibile, cioè il contrario del teatro.

 Il mito: μῦθος (mythos) significa parola, ma nettamente diversa da λόγος. Questa è l’analisi, il ragionamento, la definizione; il mito è la parola-corpo, la parola pregnante di cose, le cose che si fanno parole senza divenire astratte. Il mito è “significazione”, è vita, è azione, è passioni; è perciò una narrazione che si fa paradigmatica di uno stato di cose o di un modello etico.

 Il mito è, per dirla con Aristotele come definisce la tragedia, τὰ πάθη τῶν ἡρώων (ta pathe ton heròon), le violente passioni degli eroi; e deve avere un’ambientazione primordiale e arcaica; è fatto di dei olimpici e divinità della natura e di re e guerrieri e schiavi; e di conflitti che non possono essere sanati, e si concludono in modo arazionale, con una morte tragica o con una trasformazione impossibile; tutto, fuorchè l’umana debolezza. I personaggi del mito sono tutti in preda a qualche ἔκστασις (èkstasis), uscita dai limiti della banale vicenda dei mortali.

 Detto questo sotto l’aspetto della filosofia e visione della vita e del mondo dei Greci arcaici, ragioniamo ora da storici. Il mito, da questo punto di vista, ha due valenze: trasmissione di valori e creazione di genealogie.

 Il mito è tradizione eroica: come fecero gli avi durante la tale guerra (o reale o che, raccontata a lungo, lo diviene), così devono fare i discendenti, per conservare l’eredità della gloria, quindi il prestigio e potere sociali e politici. L’aristocratico è dominante sulla plebe fin quando si mostra ed è pronto a combattere e morire per la comunità. Quando no, gli tagliano la testa come nel 1793 e 4.

 Gli antenati, perciò, furono dei ed eroi. Se non lo furono, interviene la mitopoiesi, creazione di un mito. Un solo esempio, ma bello chiaro: i re semibarbari di Macedonia, man mano che divenivano potenti e, a modo loro, civili, desideravano essere greci; fecero sì che il loro recente albero genealogico venisse allungato fino ad Ercole e a una sua avventura amorosa ad Argo; si chiamarono perciò Argeadi, e gli ellanodikai consentirono loro l’onore di partecipare alle Olimpiadi. Non metto la mano sul fuoco che i sovrani di Pella non abbiano fatto scorrere un po’ di soldini, argomento poi condotto ai massimi livelli da Filippo, il padre di Alessandro.

 Come vedete, alla fine anche gli eroi hanno un cuore… e, in fondo, sono solo dei semidei, non dei; quindi hanno pure loro qualcosa di umano, che li rende vicini a noi.

 Venite a vederli sotto forma di teatro, il 10, a Davoli, nella notte magica delle stelle: Ovidio e Giulia; Andromeda e Posidone; Arianna e Bacco; Caritea, Daulia, Orfeo…

Ulderico NisticòLE DEE STELLE


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