Negazionisti e negoziatori


E’ di ieri la notizia che un gruppo di manifestanti, nonché residenti, ha protestato davanti alla torre di San Foca, a Melendugno in provincia di Lecce, per bloccare i lavori del gasdotto che porterà il gas in Italia dall’Azerbaigian. Sono i cosidetti no-tap (acronimo che sta per Trans Adriatic Pipeline o, italianizzato, Gasdotto Trans-Adriatico) che per mostrare il loro evidente dissenso alla posizione balorda della parte del governo a 5 stelle, ha pensato bene di protestare in maniera sobria bruciando manifesti dei pentastellati, schede elettorali e vessilli del Movimento, sentendosi traditi da un voltafaccia più opportunistico che opportuno. Di Maio si è immolato sull’altare dei media dichiarando, superficialmente, che il gasdotto “sa da fare” perché rinunciarci costerebbe agli italiani più di quanto si spenderebbe per realizzarlo. In maniera sintetica, ha parlato di penali che sembra non ci siano, ma che riducono il problema alle dimensioni di un fagiolino in quanto, a sentir il premier Conte, chi non conosce le leggi, non può sparare a caso opinioni che non hanno evidenza empirica dando, difatti, ragione al suo vice di giallo votato. Penali o non penali, non farlo costerebbe troppo. Perché? Perché chi c’era prima ha fatto in modo, negli anni, che non ci fossero vie di fuga alla sua realizzazione. Quasi quanto il contratto con i Benetton per la gestione delle autostrade italiane.

L’Italia è il Paese dei comitati negazionisti. Abbiamo avuto i No-Global che combattevano (non possiamo dire che manifestassero e basta) per il principio nazionalista di non globalizzare la nostra economia. E questo fa abbastanza ridere se solo pensiamo che sostenitori di quel movimento sono oggi gli stessi che difendono quel mondo globale sui generis della nostra splendida Unione Europea. In quel tempo era giusto distruggere Banche e esercizi commerciali simbolo di una profonda globalizzazione, come ad esempio, McDonald’s. Spaccavano le vetrine e postavano le foto delle loro eroiche imprese su internet, foto fatte con il loro i-phone, simbolo chiaro ed evidente di una tradizione artigianale puramente nostrana. Oggi, che la società è cambiata, questi baluardi sostenitori del no al BigMac, hanno accettato di buon grado le nuove direttive di partito e si sono sottomessi alle dinamiche divine del Dio Denaro.

Poi ci sono stati (e ci sono ancora) i No Tav che si opponevano alla costruzione delle linee ferroviarie ad alta velocità (TAV sta per Treni ad Alta Velocità). Anche per far valere questo “principio”, i comitati necessitavano di una resistenza armata che frapponeva la giustizia delle loro idee a quelle di chi voleva solo monetizzare uno “scempio”. Le linee ferroviarie al centro delle proteste erano contestate principalmente per via del costo ritenuto eccessivo rispetto alla loro utilità, all’impatto ambientale nelle zone della loro realizzazione e dei danni sulla salute umana nei luoghi coinvolti dalle costruzioni. E’ scontato dire che anche costoro, oggi, come già i no-global, sono diventati possibilisti lasciando il diniego assoluto a quella parte dei cinque stelle che oggi siede al governo. Quei “comunisti” che si battevano come leoni, anche a suon di poesie, oggi tacciono per non confondersi con gli avversari seguendo gli ordini superiori dei capibastone che muovono i fili delle loro esistenze pubbliche.

In ultimo, saliti sugli scudi dell’attualità dopo il crollo del ponte Morandi a Genova, ci sono i No-Gronda. Anche questi di giallo vestiti e colpevolizzati più di Autostrade per il crollo del ponte. Come a dire: se si faceva la Gronda, strada alternativa che avrebbe alleggerito il traffico sul ponte crollato, oggi non ci sarebbero 43 morti. Senza stare a sindacare sulla reale efficacia di questa valutazione, rimane il fatto che come nella storia dei comitati descritti in precedenza, anche per i no-gronda esiste una persistente ipocrisia che contrappone una necessità reale per un territorio ad una valutazione utile solo per fini politici… o meglio, elettorali.

I no-tap sono solo un tassello ulteriore della protesta istituzionalizzata che l’Italia si vanta di esportare nel mondo, in quel mondo che invece realizza tranquillamente le sue opere con la sola finalità di migliorare le condizioni di vita dei propri cittadini. Pensate voi che “bischeri” questi paesi stranieri! Del resto se crolla un ponte in Italia, con tutti i no che arrivano da destra e da manca, prima di vedere un’opera realizzata a regola d’arte, dovremo aspettare che l’Enterprise raggiunga un pianeta idoneo ad ospitare la vita terrestre dopo che avremo distrutto il nostro. Il problema reale è che siamo bastian contrari solo quando c’è da mettersi in mostra oppure ottenere qualche vantaggio, che sia economico o di posizione. Si dice no, per dirlo in televisione. Si dice no, per essere eletto. Si dice no, perché non ci guadagno io. E ogni qual volta che si dice di no, questo nostro paese, con le sue leggi garantiste, blocca quel progresso che, regolamentato, permetterebbe valutazioni di opportunità che devono stare dietro ogni opera pubblica finalizzata al miglioramento della qualità di vita dei cittadini.

Qualche no è giusto, ma a mio avviso non deve arrivare da cittadini incazzati con le istituzioni che operano indiscriminatamente. Non dovrebbero arrivare da proteste armate dove spesso a rimetterci non sono certo le aziende che sono chiamate a realizzare quelle opere, ma i cittadini stessi che non c’entrano nulla con quel guazzabuglio studiato a tavolino da pochi passionali del guadagno facile.

Aspettando i No-IPhone, i No-Social, i No-Mastercard, mi auguro che il giudizio prenda il sopravvento e si capisca che si può ragionare sulle cose senza dover per forza bruciare santini, santoni, streghe ed eretici. Anche perché appiccare il fuoco vicino ad un gasdotto può essere pericoloso.

Gianni Ianni Palarchio (Blog)


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