Un convegno per il sì e per il no


schede_referendum Vado, invitato da un mio valente ex allievo di tanti anni fa, oggi professore, a discutere di sì e di no in quel di Petilia Policastro. Premessa drammatica: se è vero, com’è vero, che le strade provinciali di Vibo sono pessime, è verissimo che quelle di Crotone praticamente non esistono, sono tutta una buca, e ciò non dopo la recente pioggia ma da anni e non gliene impipa niente a nessuno compresi gli abitanti. Evviva, a questo punto, la Provincia di Catanzaro; ed evviva il Comitato Trasversale che ha fatto la guerra. Nel Crotonese, come nel Vibonese, sono tutti agnellini?

 Anche a Petilia ho dovuto costatare, durante il dibattito, che quella del 4 dicembre è quasi solo una faida interna al PD tra renziani e nostalgici di D’Alema, con lieve partecipazione degli altri. Quanto a me, prima di entrare nei particolari, ho dichiarato la mia avversione non a questo o quell’articolo della vigente costituzione, ma a tutta e al suo impianto, inclusi i principi fondamentali. Meglio chiarire, vero?

 Ho iniziato avvertendo che io, avverso alla costituzione, l’ho letta interamente, e non a pizzichi e mozzichi come fanno quelli della “costituzione più bella del mondo”. Alcuni simpatici esempi.

  • I pacifisti si riempiono la bocca con l’art. 11, “L’Italia ripudia la guerra”. Invece il detto articolo è più lungo, e dice che l’Italia ripudia la guerra di aggressione o come mezzo per risolvere controversie, non la guerra in genere; invece l’art. 52 della stessa identica costituzione recita che “la difesa della patria è sacro dovere del cittadino”, cioè che in caso di attacco nemico tutti i cittadini, tutti, devono combattere non a parole o con digiuni o con invettive, ma con fucili e cannoni, come recita il comma seguente sul servizio militare. Ovvero, l’Italia non può attaccare con le armi, ma con le armi si deve difendere. Chi conosce la storia sa che la differenza tra attaccare e difendersi è molto, ma molto sottile, quasi non si vede!
  • Ancora peggio, e lo dico da credente e praticante, l’art. 7, il quale pone tra i principi fondamentali i Patti Lateranensi sia in quanto Concordato, sia in quanto Trattato internazionale: una vera follia giuridica. Ben più accortamente, lo Statuto Albertino del 1848, all’art. 1, diceva che “la religione cattolica è la sola religione dello Stato”; la religione, non la Chiesa, con cui il Regno di Sardegna non aveva alcun patto scritto; e “dello Stato”, non “di Stato”, due concetti assai diversi e quasi opposti.
  • L’art. 7, poi, è in palese contraddizione con l’art. 2, il quale detta che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, tutti, quindi anche i buddisti e atei, i quali però si trovano a sottostare all’art. 7.
  • Ah, nessuno si ricordò che i Patti del 1929 sono stati firmati per la Chiesa dal cardinale Gasparri, e per lo Stato da Benito Mussolini, il quale così entra a far parte dei principi fondamentali della costituzione.
  • È palese che “senza distinzione di sesso” voleva dire, il 1 gennaio 1948, che anche le donne possono votare ed essere elette eccetera; mica che è sparita di colpo la distinzione del sesso, e che quindi le cosiddette unioni civili sono un matrimonio. Nel 1948 neanche al più sfrenato utopista poteva venire a mente che si “sposassero” due maschietti o due femminucce, ma sempre e solo una femminuccia e un maschietto. Però, se uno si vuole svagare con le parole, l’art. 3 offre ogni campo alla fantasia!
  • L’Italia è una partitocrazia; ma i partiti sono appena appena nominati in un remoto articolo 49, che riconosce che “i cittadini possono riunirsi in partiti per concorrere… ”, concorrere, dunque, assieme ad altre modalità: mai viste, queste, e da allora ci sono solo i partiti.
  • Lo stesso articolo parla di “metodo democratico”, quindi di democrazia interna ai partiti. Un’altra volta spiegherò ai giovani e ricorderò agli anziani come funzionava la Democrazia Cristiana, dove i capi bastone si presentavano ai congressi con le tessere in tasca, migliaia di tessere ciascuno, e, tramite un manuale Cencelli si spartivano posti e quant’altro; o cosa fosse il “centralismo democratico”, cioè sovietico, del Partito Comunista.
  • La costituzione stabilisce le modalità per la sua revisione; e non sta scritto da nessuna parte che le revisioni debbano avvenire all’unanimità di tutti, ma a maggioranza e in due letture eccetera. Ieri un distinto signore ha parlato di “arco costituzionale” che si dovrebbe mettere d’accordo, e io gli ho fatto notare che i “partiti dell’arco costituzionale” cioè DC, PCI, PSI, PLI, PRI, PSDI eccetera sono tutti spariti da vent’anni; e il Partito d’azione da cinquanta.
  • A proposito di partiti, la costituzione vieta la ricostituzione del fascismo; e vi posso assicurare, ma lo sapete tutti, che il Movimento Sociale mai nulla fece per nascondere la sua natura fascista, con grande sventolio di gagliardetti e canti bellicosi; e ciò anche in pubblico sfregio della legge Scelba.
  • La costituzione vieta ogni tentativo di revisione costituzionale della forma istituzionale, cioè se il 99% degli Italiani volesse un re, l’unico modo per imporlo sarebbe la guerra civile. Ma fino al 1972 c’erano più d’un partito monarchico, e Lauro era stato sindaco di Napoli.

 Insomma, credo di aver chiarito, a titolo personale, i motivi per i quali io sono avverso alla vigente costituzione.

 Vigente? Ma no, nel 2001 è stata riformata, quasi in silenzio, con un ridicolo Titolo V che equiparava quasi non solo le Regioni, la persino i Comuni allo Stato. Siccome tra le regioni c’è la Calabria, viva chi la mette in riga! Nel 2001 non ricordo di aver sentito gente piangere e invocare la difesa della carta del 1948!

 Quanto al Senato, la costituzione ne fa un mero doppione della Camera, con pietose differenze di età. Ma non è mica vero che se uno è imbecille e ladro a 49 anni, diventa onesto e intelligente a 50! Per me una camera basta e avanza, anzi 650 deputati sono confusione e spreco, e ne basterebbero un centinaio; e che si riuniscano tre volte l’anno. Tranquilli, non è un’idea da dittatura rossa in Corea, lo prevedevano fior di costituzioni democratiche come quella cecoslovacca del 1920; e anche i consigli comunali italiani dovrebbero essere due l’anno, e tutte le altre riunioni si fanno con l’illegale formula di “straordinaria e urgente”.

 Questo, e altro, ho detto sabato sera a Petilia Policastro. Ci rivediamo per i risultati, il 5 prossimo.

Ulderico Nisticò


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