VIDEO | Chiara Giordano parla dei 2CELLOS tra musica e show


C’era una volta la musica…Non è il titolo di un film, ma l’auspicio di Armonie d’arte Festival che si riesca ad essere sempre consapevoli nella distinzione tra Arte e Spettacolo, vale a dire essere in grado distinguere ciò che è il valore artistico e ciò che è show, per goderne di più sia dell’uno che dell’altro.  

In un mondo  globale che è sempre più caratterizzato dall’effettistica, bisogna saper anche distinguere gli “effetti” supportati dal talento creativo  e dalla tecnica, da quelli supportati solo dai media e dagli “esperti” compiacenti per qualche prebenda o vantaggio di sorta, minimo o grande che sia.

Pertanto la direzione artistica di Armonie d’Arte Festival – Chiara Giordano, musicista con un curriculum che la vede in contesti di prestigio nazionali ed internazionali – spera di far cosa gradita ed utile nel fornire un’informazione tecnica, una riflessione meglio circostanziata del valore musicale del concerto inaugurale dei 2CELLOS di martedi scorso 27 giugno al Parco Scolacium di Borgia.

E dunque, premesso che Elton John, personaggio al di sopra di ogni sospetto in merito alla compiacenza, sponsorizza i 2Cellos definendoli i nuovi Jemi Hendrix, del nostro tempo, così come tutto il mondo musicale più accreditato si compiace di questi 2 musicisti giovani è già con l’appeal delle stelle, e premesso che vengono da una storia di musica classica costellata di importati risultati e riconoscimenti, va spesa qualche parola sulla specificità del loro linguaggio e sullo strabiliante virtuosismo tecnico che, peccato, magari non tutti riescono a cogliere nella sorprendente portata.  

Partiamo dal primo punto. Il loro si può definire si definisce  linguaggio crossover, insomma un linguaggio che attraversa stili e generi diversi. Ma il punto è: come? Certamente è facile dire solo che si riprendono temi e brani di altri e si mescolano insieme, ma ciò è piuttosto banale, perché sarebbe come se si pensasse che i jazzisti fanno le cover ! O come dire che le variazioni  di Rossini, di Mozart, di Liszt su temi di altri erano dei giochi da show!  O dire che Riccardo Muti e tutte le Orchestre del mondo che le eseguono cover! In realtà il significato e valore del linguaggio crossover sta proprio nella capacità di rielaborare, secondo propria vocazione creativa e tecnica dello strumento, i materiali noti del repertorio musicale e farne nuovo materiale con nuovo senso estetico, e talora con nuovo target di ascoltatori, in un contesto magari diverso da quello iniziale.

Quanto più alto è il livello tecnico, più alta è l’energia creativa, ovviamente più si allarga il divario tra chi la musica la fa per diletto e chi è un artista; se poi il mondo dei grandi artisti riconosce ciò, e i media se ne accorgono, si diventa star della musica. Come accaduto per i 2Cellos.

Per essere più analitici, per chi c’era al concerto a Scolacium ma anche per chi avesse curiosità di ascoltarli sul web o in cd, si suggerisce di notare alcuni punti delle loro esecuzioni. Innanzitutto la precisione tecnica che consente di utilizzare il violoncello come mai si era visto prima; infatti il loro arco riesce a far mergere un suono incredibilmente rotondo e fluido, senza spigolosità nel cosiddetto cambio di arcata, ovvero “quando l’arco va su e giù“, ma nello stesso tempo riescono ad utilizzarlo in modo percussivo con una precisione di intonazione, una potenza sonora e una millimetrica precisione ritmica da sfidare ogni misurazione teconologica e l’orecchio umano più attrezzato! E d’altra parte lo fanno con una capacità di nuance dinamiche, cioè  i cosiddetti “piano e forte” o “crescendo e diminuendo“ del volume sonoro, senza indugi, nonché con una padronanza  totale dell’agogica musicale (ovvero le direzioni, attraverso accentuazioni, respiri, andamenti, verso i punti di maggior tensione dei vari temi e del loro sviluppo) , tale da consentire di passare, senza far percepire soluzioni di continuità, tra modi musicali completamente diversi tra loro.

Una prima parte del concerto condotta con eleganza, tipica di chi proviene dalla classica, e tale da apparire a qualcuno persino “normale” rispetto all’esplosione della seconda parte che più sfacciatamente ha svelato l’universo musicale e psicologico dei 2 musicisti che, a dispetto di chi rivendica o sottolinea le primogeniture dell’utilizzo di questa tipicità crossover, hanno cambiato il mondo del violoncello e contribuito alla divulgazione della musica mantenendo ben salda la qualità delle performances che, così, restano arte e cultura senza cedimenti per ragioni di mercato.  Abbiamo ascoltato la dolcezza di suono tecnicamente perfetto, pieno di armonici non finti ( come a volte capita nelle registrazioni ) che nei temi di Morricone o in Moon River che hanno ipnotizzato un pubblico in verità non propriamente silenzioso e tranquillo; e abbiamo poi sentito persino Rossini e tutto è apparso nello stesso modo “contemporaneo”, di una modernità che unisce il cuore dei nostalgici, dei musicisti classici, dei “giovani” di ogni età.  

E tutto questo con una disinvoltura tale da sembrare naturale, e restituire al pubblico la semplicità propria dell’Arte. Certo poi  c’è anche tutta l’energia propulsiva di giovani del nostro tempo, gli atteggiamenti di chi conosce evidentemente  la musica rock degli ultimi 70 anni, i video e gli show dei grandi artisti pop, che però qui, nell’assoluta perizia tecnica, diventano solo un modo di far festa insieme, nella gioia sana che la musica autentica, ovvero quella senza i trucchi mediatici o  tecnici più difficili da smascherare per chi non è del campo, può far esplodere.

Certo ora attenderemo i 2Cellos, proprio per loro grande capacità creativa e tecnica, nuovi sviluppi del loro percorso artistico, ma questa è una storia futura. Ed hanno solo 30 anni.

Una nota per la qualità della fonica: premesso che gli stessi 2Cellos hanno portato nello staff i fonici di propria fiducia che li seguono in tutto il tour mondiale, e che si sono esplicitamente complimentati con l’Organizzazione per il  livello tecnico e dei materiali del Service audio luce, il resto è spazio all’osservazione del fatto che è evidente nelle prime file alcuni aspetti sonori possono essere diversi da quelli ottimali, come in un teatro si ascolta meglio dall’alto che in platea; in ogni caso alcuni effetti ridondanti, del tutto occasionali, erano voluti dagli stessi artisti che ne hanno deciso la modalità con gli stessi propri fonici.

Una nota anche per i magnifici orchestrali, I Solisti di Zagabria, puntuali e discreti, e in particolare per lo sfavillante batterista che ha catturato tutti e “forse anche la basilica”, oscurata per lasciare, nei minuti solistici, tutta la scena sulla sua stregante scatenata pulsazione.  

Infine una considerazione: quando nel nostro territorio arrivano realtà che il mondo riconosce come espressioni migliori di un’umanità normalmente impegnata in mille affanni, quando una realtà calabrese supera mille sforzi per dare quest’opportunità al territorio, quando arrivano tanti, proprio tanti, turisti per condividere un momento di arte e cultura, e quando si accendono le luci di un luogo sempre foriero di incantamento come quello del parco Scolacium che rappresenta un tassello importante dell’identità della regione, si provi a goderne un po’ di più. Avvertiamo talora il bisogno, o il limite, di contenere questa gioia, e allora l’invito del Festival e della Fondazione è sentiamoci, confrontiamoci, proviamo a crescere sempre di più, magari senza le sole sterili esternazioni  sui social, ma con l’impegno in prima persona e un contributo di opinione diretto che certamente è accolto.


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