Il 7 ottobre 1571, una possente squadra navale cattolica attaccava a Lepanto la flotta ottomana e l’annientava. I “confederati” schieravano 220 navi, di cui 120 veneziane, sei delle quali gigantesche galeazze; 80 spagnole e napoletane, e altre genovesi e pisane e del papa. Comandava don Giovanni d’Austria, figlio naturale di Carlo V.
Tenne l’orazione ufficiale padre Lattanzio Arturo da Cropani: l’abbiamo pubblicata in edizione critica commentata
Si raccolsero volontari sulle coste della Calabria: soldati di Tropea e di Badolato con il Toraldo,
fanti tra le truppe di Prospero Colonna e sulle galee siciliane di Ramirez.
Armarono loro navi Francoperta, Geria, Ferrante, de Cicco,
Bosurgi, Galimi da Reggio; Carnevale da Stilo; Cavallo, Ventura da Amantea;
Commercio da Francica; Coco, Comperatore, Falletti da Terranova;
Manuardi da Rogliano; Parisio da Cosenza; Grandopoli da Corigliano; Merenda da Paterno;
Marullo conte di Condojanni; il Corsale di Castelvetere, terrore dei Turchi;
tre navi di Tropea; due di Reggio; due dei Passacalò di Seminara;
una dei Marini con Milio da Melicuccà; Cecco Pisano; Cavallo di Amantea.
Fazzari, Sudano, Barone, Carrozza, Portogallo, Frezza, Galluppi, di Francia, Brisbal conte di Briatico
cadranno in combattimento.
Vezzo della storiografia, anche italiana ma asservita alla cultura francese e a quella protestante,
è sminuire la gloria di Lepanto. Miopia di storici meschini:
Lepanto (come Malta nel 1565) dimostrò al mondo che gli Occidentali erano molto superiori ai Turchi
e per valore militare e per tecnologia navale.
E infatti, da allora i Turchi tentarono saccheggi (1594, anche Soverato), mai la conquista per mare.
Una loro spedizione per terra, nel 1683, verrà stroncava a Vienna dall’imperatore Leopoldo
e dall’intervento degli Ussari Alati del re di Polonia Giovanni Sobieski.
La formazione dell’alleanza del 1571 era stata un’opera paziente e accorta della diplomazia pontificia, sotto la guida di Marcello Ghisleri, dal 1566 Pio V, poi santo. Di nobile famiglia, era stato però anche molto povero, e pastore di pecore prima che di anime; domenicano, mantenne sempre il suo abito monacale, e da allora i papi vestono di bianco; devoto della Madonna, la salutò come Auxilium Christianorum, titolo poi esaltato da don Bosco; e, dopo l’annunzio della battaglia, che gli giunse miracolosamente mentre era in preghiera, come Regina delle Vittorie; infine, per umiltà, come Madonna del Rosario.
Fiorirono dovunque molte confraternite del Rosario, tuttora operanti: e la loro vita presente e futura è oggetto del convegno di cui leggete, il prossimo 7.
Le confraternite, o congreghe, erano una forma molto seria di laicato cattolico, e anche di organizzazione delle comunità, dedicandosi all’educazione religiosa e civile, ed esercitando un benefico controllo dei confratelli e delle famiglie. Eleggono tuttora, con precise regole, un Seggio e un Priore, che in alcuni paesi è più importante del sindaco. Sotto Ferdinando IV di Borbone, vennero organizzate dallo Stato, quasi una struttura parallela alla Chiesa: per questo ancora molte si chiamano Regia Confraternita, e conservano gli Statuti borbonici in originale.
Non è dunque un convegno storiografico, quello del 7; è anche un programma di vita per il presente e per l’avvenire.
Ulderico Nisticò