Idem per il greco. Greco e latino non servono a niente, perché non sono arti servili ma sovrane. Non è vero che se uno studia il greco poi, da medico, si ricorderà che apnea viene dal verbo πνέω, in origine πνέϝω, donde πνεῦμα etc; e varie particolarità che piacciono ai grecisti ma delle quali un professionista di Ippocrate può fare a meno. Non è vero che se uno studia latino gli si sviluppa la logica, perché ciò sarebbe vero, volendo, anche per le parole crociate e i rebus. Meno che meno è vero che se uno studia greco e latino poi se ne ricorda per tutta la vita.
La cultura classica, di cui greco e latino sono indispensabili strumenti, non serve, dunque, e non produce effetti pratici o guadagni di vario genere. Essa è universale, eterna, portatrice di umanità senza tempo. Con calma, anche questo: anche gli antichi hanno pensato e fatto sciocchezze come tutti gli esseri umani del passato, del presente e del futuro. Per esempio, si opposero pervicacemente al progresso tecnologico, di cui pure avevano le premesse teoriche e persino qualche applicazione pratica. Ecco come ammirare gli antichi senza farne delle belle statuine.
E veniamo al latino della Media. Sono ovviamente d’accordo, però a patto che il latino sia latino, e non un’infarinatura alla buona. Ovvio, perciò che a insegnare latino sia uno che lo sappia. Lo sappia, e senza si faccia troppo affidamento sui fogli di carta, che magari sono testimonianze di anni fa.
Evitiamo dunque che della faccenda s’impadroniscano burocrati e sindacalisti, con graduatorie e punteggi di natura eterogenea: diciamo così per essere gentili! I presidi, seu dirigenti scolastici, abbiano il fegato di chiudersi in presidenza con il candidato a insegnare, e chiedergli a brutto muso se sa il latino, e, con Giovenale, “quis custodiet ipsos custodes”? Nel caso dubbio, la scuola organizzi dei corsi di recupero, nei quali si parli seriamente di declinazioni e coniugazioni e sintassi dei casi e del periodo. Del resto, un ripasso non fa male a nessuno.
Ulderico Nisticò