A Tiriolo, un convegno vero, senza Ulisse


Convegno sull’archeologia di Tiriolo, con la Sensi Sestito, la Lazzerini e Spadea, organizzato dall’Associazione Teura. A quanto leggo sulla stampa, si è parlato di protostoria, storia greca bruzia romana, reperti, e delle misteriose defixiones.

Ottima idea, perché Tiriolo vanta una storia di almeno tremila anni. Il Monte mostra arcane grotte, dove vaga lo spirito del re Nilio, che si consumò come un tizzone: e richiama il mito di Meleagro; ma Nilio può avvicinarsi a “Neleus”, un eroe contemporaneo di Ercole, e padre del vecchio Nestore.

Ora non cercate di capire che io penso a Nestore alla lettera, a Neleo alla lettera, a Ercole alla lettera… come qualche ingenuotto pensa di Ulisse alla lettera. Bisogna capire il concetto di mito, che è tutto tranne che una cronaca. Un esempio: tutti conoscono l’Olimpo, quasi nessuno sa che la Grecia era zeppa di alture che si chiamavano Olimpo: come i nostri paesi hanno tutti “a hiumara”! Naturalmente, ogni paesello greco credeva che avere l’unico Olimpo, con annessi dei.
Torniamo a Tiriolo. La protostoria attesta che fin dai tempi più remoti Tiriolo era quello che i vecchietti – me incluso – ricordano benissimo da quando erano bambini: il nodo stradale della “Calabria” Centrale; e la confluenza tra le valli del Corace e dell’Amato, e la Presila cosentina.

È attestato un toponimo Teura o Teira, il che mette in relazione il territorio con Terina, e ne fa uno dei tanti toponimi ter/tir/tor/taur di tutta la Calabria. Ci furono i Greci.
Tiriolo, quale che fosse il nome, è un centro dei Bruzi, che, nati politicamente nel 356, e in guerra contro i Greci, ne acquisiscono però alcuni caratteri, e ne usano la scrittura. La tomba bruzia rivela elementi di lusso ed eleganza.

La Tabola del Senatusconsultum de Bacchanalibus, del 186, attesta che Tiriolo è al centro di un “Ager Teuranus”. Non leggo nulla, sulla stampa, a tale proposito, e tra i dotti relatori non c’era nessun linguista a informare gli astanti che l’ablativo della I decl. da in –d; e il genitivo di senatus è senatuos; e varie altre forme di latino o arcaico e cancellieresco, o, chissà, locale.
A proposito: il ritrovamento della Tabola, avvenuto nel 1640, o, secondo le mie fonti, 1638, non è minimamente la prova di una politica romana nei confronti del Meridione con presunta “repressione”. Il severissimo decreto e divieto dei Baccanali riguarda tutta Italia, alleati inclusi; ed è causato da uno scandalo avvenuto a Roma: ne parla, con dovizia di particolari, Livio.

Le mie fonti sono le pagine attribuite all’Urzano, databili attorno al 1680, e giunte a noi manoscritte con ampie interpolazioni settecentesche. Non ne leggo menzione, però sarebbe interessante leggere la mia edizione del 1995. Ma allora i Tiriolesi erano in preda alla mania di Ulisse, e nemmeno se ne accorsero!!!
La Cronaca segnala molti ritrovamenti di interesse archeologico, sia pure casuali, tra cui molto importante quella dell’acquedotto (“giarrone grande”), di cui restano due larghi tubi.

Al netto da questi necessari rilievi, mi complimento di Tiriolo per l’approccio serio alla storia. Evidentemente non interessa più a nessuno la favola che Ulisse sia sbarcato verso S. Eufemia, dove Nausicaa era giunta percorrendo 17 chilometri allo scopo di lavarsi due mutandine!
Ora qualche genio opporrà che Wolf è un grecista… E perché, io che sono? Vi pubblico perciò i versi omerici con traduzione: se trovate una somiglianza con la Calabria, offro una cena a tutti quelli che, nel giugno del 2017, stavano a bocca aperta a sentire quello che, per ragioni di studi, non erano in grado né di accettare né di confutare: in testa l’allora vicepresidente Viscomi, seguito dalla Giordano, entrambi famosi nel loro mestiere, ma scarsissimi di lingua greca, e tanto più di ionico-epico.

Io invece lo so, ed ecco il nostro Omero, o chi per lui:

ἐγὼ δ᾽ ὁδὸν ἡγεμονεύσω.
Io la strada t’indicherò.
αὐτὰρ ἐπὴν πόλιος ἐπιβήομεν, ἣν πέρι πύργος
Quando giungiamo alla città, attorno alla quale una torre è
ὑψηλός, καλὸς δὲ λιμὴν ἑκάτερθε πόληος,
alta, e un bel porto da una parte e dall’altra della città
λεπτὴ δ᾽ εἰσίθμη: νῆες δ᾽ ὁδὸν ἀμφιέλισσαι
e uno stretto ingresso; lungo la strada le curve navi
εἰρύαται: πᾶσιν γὰρ ἐπίστιόν ἐστιν ἑκάστῳ.
sono tratte a secco; e tutti hanno un alloggio;
ἔνθα δέ τέ σφ᾽ ἀγορὴ καλὸν Ποσιδήιον ἀμφίς,
attorno c’è la piazza e il bel tempio di Posidone
ῥυτοῖσιν λάεσσι κατωρυχέεσσ᾽ ἀραρυῖα
piazza connessa con scavate pietre.
ἔνθα δὲ νηῶν ὅπλα μελαινάων ἀλέγουσι,
Qui traggono gli attrezzi delle nere navi
πείσματα καὶ σπεῖρα, καὶ ἀποξύνουσιν ἐρετμά.
gomene e vele, e affinano i remi.
οὐ γὰρ Φαιήκεσσι μέλει βιὸς οὐδὲ φαρέτρη,
Infatti, ai Feaci non interessano frecce e faretre,
ἀλλ ἱστοὶ καὶ ἐρετμὰ νεῶν καὶ νῆες ἐῖσαι,
ma vele e remi di navi e le equilibrate navi
ᾗσιν ἀγαλλόμενοι πολιὴν περόωσι θάλασσαν.
gloriandosi delle quali attraversano il bianco mare.

Bravi, dunque a Tiriolo, che ad Ulisse e ai Feaci non ci credono più. I Feaci, popolo di marinai, che, effettivamente, non si sarebbero trovati a loro agio, a 800 metri sul livello del mare!

Ulderico Nisticò


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