Agricoltura di qualità


 Interessante manifestazione di GAL e Regione, con esposizione e degustazione di alcuni prodotti agricoli. Mentre degustavo, e ci bevevo sopra anche in nome della cultura classica, ho pensato quanto segue, e ve ne rendo partecipi:

1. Per millenni l’agricoltura è stata estensiva, mirando alla quantità; quantità che però era sempre poca quando non scarsa, e soggetta a vicissitudini naturali; e con tecniche non molto raffinate. Oggi non serve produrre di più, anzi si tende a produrre di meno e a puntare sulla qualità.

2. La qualità ha bisogno di mercati. Ebbene, e a onta della rozza sedicente legge della domanda e dell’offerta, chiamiamo in causa Pareto con la teoria dei gusti: si compra secondo criteri che diremmo ideologici; si compra un nome, una tradizione, un’immagine, spesso una moda. I prodotti calabresi hanno dunque bisogno di un’idea di Calabria da veicolare nei giusti canali, dunque tappare la bocca ai piagnoni lautamente pagati come le prefiche (in dialetto, “ciangiuline”), e anche ai sognatori di sbarchi di Ulisse e qui c’era l’Eden, e raccontare la Calabria vera con luci e buio; inclusa quella a tavola, perciò agricoltura e allevamento.

3. Ragazzi, in tutto il mondo ci si nutre, ma in Calabria si mangia! La differenza è sostanziale.

4. La storia agricola della Kalabria/Calabria è la seguente: molte aree interne erano destinate all’allevamento dei bovini e ovini, sia per carne e latte, sia per lavoro e lana e altri derivati; le Valli del Tacina e del Neto producevano grano; dovunque si coltivava la vite, e già gli Enotri palificavano invece di lasciar maritare; le montagne fornivano legname alle navi; le colonie romane erano “villae” con decine di ettari. Secondo le circostanze, c’erano vaste estensioni di proprietà; oppure, nella maggior parte dei casi, quelli che in età romea (bizantina) si chiamarono petzì, unità sufficienti ai contadini-soldati; in età moderna (Basso Medioevo e secoli XVI e XVII), i giardini di agricoltura integrata.

5. Un terzo del territorio coltivabile era destinato al gelso, che forniva materia prima all’artigianato della seta. Si coltivavano lino, cotone, canapa, ginestra…

6. Il latifondo parassitario non è affatto antico, e risale alla crisi del gelso e all’uliveto da destinare alla vendita all’ingrosso: olio “lampante”, volutamente di pessima qualità.

7. La riforma agraria degli anni 1950 giovò a pochi che ottennero terre buone; i più si ritrovarono quote (“a cota”) di minima estensione, presto abbandonate perché improduttive: ed è lo spettacolo triste delle nostre colline.

8. Per produrre, infatti, occorre la terra; e, secondo la destinazione, le dimensioni necessarie utili. Come fare? Con la mia tesi dell’ esproprio PROPRIETARIO. Sì, avete letto bene: proprietario. La terra abbandonata dev’essere assegnata a chi davvero la lavori, il quale, se proprio ci tenete, pagherà un euro simbolico l’anno. L’euro se lo dovranno dividere una ventina di eredi del bisnonno che ebbe la quota e poi lasciò tutto al vento e ai cinghiali!

O fortunati, tantum bona si sua norint / agricolae, canta Virgilio; e, sottintende, se qualcuno li aiuta.

Ulderico Nisticò