Ancora sulle Università calabresi


 Ammesso – e non minimamente concesso – che Catanzaro tenti qualcosa nel 2023, ormai la frittata è non solo fatta ma anche mangiata e digerita, e la Facoltà di Medicina a Cosenza sarà al lavoro.

 Quando ho scritto che per vendetta bisognerebbe aprire Lettere a Catanzaro, scherzavo amaramente: Catanzaro non ha fatto prima, e non farà ora né dopo, un bellissimo niente, e manco se trasferissero il Cavatore sul Pollino. Quando dico Catanzaro, intendo Provincia e Comune (tutti i sindaci passati e futuri; per ora, cito Abramo e Fiorita), nonché tutti i famosissimi intellettualoni.

 Io, che ufficialmente sono solo un pensionato P. I., mi svago a parlarvi del sistema universitario calabrese, servendomi di un paragone. Avrete visto, nei nostri paesi, certi casamenti con pianterreno medioevale di pietra; primo piano settecentesco con pietra e laterizi; secondo con ottocenteschi mattoni pieni; e spesso un terzo con moderni mattoni forati; e un quarto e quinto con abbondanza di alluminio e di parabolica: ecco, è un palese modello di edilizia a caso. Così sono venute fuori queste Università calabresi, che, richieste almeno dal XVI secolo senza fortuna, sono improvvisamente spuntate come i funghi e le lumache dopo la pioggia.

 Secondo me, ne bastava una e avanzava, dovunque l’avessero messa. Ne abbiamo invece una a Catanzaro, una a Reggio più una non so se privata o meno, e varie succursali con tanto di superbo cartello UNIVERSITÀ.

 Ebbene, se io fossi l’assessore regionale alla scuola – tranquilli, non succederà mai – come primissima operazione ordinerei a qualche superprofessore di sociologia un’indagine volta a conoscere:

1. Quanti studenti calabresi, dopo il diploma, si iscrivono alle Università calabresi.

2. Quanti invece continuano ad andare altrove, e dove; e perché.

3. A quali Facoltà calabresi s’iscrivono.

4. Quanti forestieri – non si può mai dire! – vengono a studiare in Calabria.

5. Quanti studenti universitari abitano nelle sedi di studio; e quanti invece viaggiano e come.

6. Quanti trovano posto ufficiale e quanti in nero; e quanti sono ospitati in strutture apposite.

7. Quanti laureati nelle calabresi Università trovano lavoro, e quale; e, soprattutto, se in Calabria o a Milano.

8. Varie ed eventuali.

 Poi chiamerei un iperantropologomegagalattico per fargli indagare quale sia l’impatto delle Università sulla condizione esistenziale della comunità calabresi. Secondo me, esso è quasi zero, a parte la qualità tecnica di insegnamento e apprendimento, che è accettabile con qualche eccellenza. Ma la Calabria non assiste a una qualsiasi presenza delle Università nella vita sociale e culturale della nostra terra:

– Pareri su una cosa qualsiasi? Mai!

– Politica? Mai sentita nominare, a parte quelli che ci campano sopra.

– Dibattito ed eventuali scontri tra opposte fazioni? Ma non scherziamo: queste sono cose per il Nord!

– Goliardia? Non sanno manco cosa sia stata.

– Produzione originale di qualcosa di culturale? Zero: vedi, tra l’altro, Bronzi. E quando dico i Bronzi, sorvolo su Sirleto, Nilo, Campanella, Francesco e infiniti altri anniversari ignorati: voce del verbo ignorare. Da qualche anno, non si sentono manco i piagnistei d’ordinanza segue cena.

 A questo punto, che una Facoltà si trovi a Cosenza, Catanzaro, Cardeto, Pianopoli, Gagliato, San Luca (in questo caso, ovviamente sarebbe per combattere la mafia!), Cardinale, Cleto o in un altro qualunque dei 404 Comuni, è indifferente…

 E bisognerebbe riconsiderare nella sua globalità tutto il sistema universitario calabrese. Secondo voi, amici lettori, mi risponderà mai qualcuno o Qualcuno? Va bene, ho capito: buon Santo Stefano.

Ulderico Nisticò