Assessori: un’altra settimana


Lo so bene: è dal 1970 che la cronaca della Regione mostra balletti di assessori e nomine e disnomine e crisi… Ma è anche dal 1970 che la Calabria è l’ultima Regione d’Italia e terzultima d’Europa, e non per questo ammicco con faccia connivente, e non mi rassegno, anzi la cosa mi fa arrabbiare a sangue. E soprattutto quando la faccenda può in qualche modo sfiorarmi sul piano personale, quanto meno nel senso di certe vaghe antiche simpatie. Non mi diverte perciò sentire che ci tocca un’altra settimana di rinvio: se va bene, io penso.

In parole povere, la maggioranza aspetta di nominare gli assessori tra i consiglieri dei partiti, non mi pare tiri aria tranquilla; e, se proprio deve, e alla luce, anzi al buio di certe cronache aspromontane, prima si sbriga meglio è. Oppure la Calabria, storta per diritta, può tentare un bell’esperimento di ius condendum, che potrebbe estendersi alle altre Regioni e allo Stato. Una volta tanto, sia pure per caso, la Calabria fa da apripista? Dite voi, ma le regole… Beh, ragazzi, seguitemi.

Premessa: Ius conditum è la legge scritta, positiva; ius condendum è quello che si forma man mano. Il conditum è un’invenzione dei Greci, che immaginavano un legislatore che, di punto in bianco, vergasse, sotto dettatura di qualche dio, norme perfette per un popolo inguaiato; il condendm è quello romano come magistralmente narrò Livio, che, attraverso contrasti tra patrizi e plebei, raggiunse un equilibrio, almeno fino alla crisi del I secolo; la quale, sempre per ius condendum, portò all’Impero. In parole spicce, le leggi si fanno, si tengono se funzionano, se no si cambiano.

Un anticipo di condendum, per i guai suoi, lo provò anche Oliverio, con gli assessori esterni ripetutamente rinnovati. Lo dovette fare, quando aveva come nemico il PD e lo sosteneva il centro(destra).

Però, detto in generale, quelle di Oliverio furono cattive scelte tipo Viscomi o quella “chiamatemi Pietro”. Infatti, mica basta che un assessore sia esterno, perché sia migliore di un consigliere. Né ci sono criteri a priori, come “se calza il 41” o “se è nato di mercoledì”… E meno che meno se è un “laureato”, ovvero un tecnico o sedicente tale. Mentre non deve contare nulla se è nato a Papanice o a Piscopio: gli assessori non lavorano per casa loro e paese, ma per l’intera Calabria. O così io spero.

La capacità è un criterio impalpabile e indefinito, e che, purtroppo, si saggia solo in maniera sperimentale. Se l’assessore Tizio funziona, lo si tiene; se no, lo si sostituisce con tanti saluti.

Un criterio cui non attribuire nessuna importanza sono le belle parole, un mestiere in cui gli intellettuali calabresi sono maestri mondiali. Anzi, sapete che farei, io, per nominare un assessore alla Cultura? Semplicissimo, una domanda: “Parlami di Gioacchino da Fiore; tempo, cinque minuti contati”. Al quinto minuto e un secondo, a casa; lo stesso se l’aspirante sostiene che l’abate era antimafia.
Chi sa di Gioacchino, gli bastano quattro, di minuti; chi non ne sa niente, deve parlarne almeno un’ora; ma lo farà, per i rimanenti 55 minuti, al bar.

Perché proprio Gioacchino? Perché nel 2021 è la ricorrenza di Dante, che fu, per la sua parte, gioachimita. E un uccellino mi ha suggerito che anche con questo centenario rischiamo la figura solita (s. Francesco, Telesio, Sirleto, Giglio, Nilo… ), se l’assessore alla Cultura sarà chi sospetto io. Quod deus avertat.

Ulderico Nisticò