Barcellona, Ulisse rinviato, e parliamo di cose serie


Tutti quelli che, anche da Soverato, stavano partendo a pascolar bufale su Ulisse sbarcato a Tiriolo e ripartito da Cz Lido, e le signore si erano fatte belle dal parrucchiere – eh, volete mettere? Kirk Douglas, Bekim Fehmiu – devono aspettare sabato 7 e tornare a farsi i capelli… il 7, se tutto va bene. Aspetto pure io, non certo per mettere piede a tale cosa, ma per: a) dimostrare banalmente, Odissea alla mano, che è una bufala; b) chiedere chi ha pagato (s’intende, tutto onestissimamente e correttissimamente) e quanto. Ora parliamo di cose serie.

Nei particolari, la questione della Catalogna è un misto di tragedia e di comica. Un primo ministro dell’attuale Regno di Spagna, tale Rajoy, venuto fuori da un anno di crisi parlamentare e tenuto assieme con gli spilli, si crede Carlo V, vuole conquistare Barcellona, e manda le sue truppe… a cose fatte. Si sapeva da molto tempo che l’1 ottobre la Catalogna avrebbe tenuto la sua manifestazione; e fino al 30 settembre questo genio della politica ha saputo solo ripetere la sciocchezza che la secessione è illegale. È ovvio che una qualsiasi secessione sia illegale: e a chi secede, che gliene impipa delle leggi dello Stato da cui vuole secedere? Quando la Germania Ovest si annesse i tre laender ex comunisti, l’ultima preoccupazione di Kohl fu se era legale secondo le leggi della Germania Est, che per l’Ovest nemmeno esisteva!

Un problema come quello della Catalogna non si risolve certo in tribunale; è squisitamente politico. È antichissimo, e, per non farla più lunga, risale formalmente al 1714, quando le truppe di Filippo V di Borbone, con aiuti militari francesi, occuparono la Catalogna, che invece riconosceva Carlo [VI come imperatore] d’Asburgo.
Da quelle parti, la memoria è fortissima. I Catalani chiamano quell’evento la Diada, e la commemorano con dolore. Li battono senza confronto i musulmani, i quali ogni anno, il 2 gennaio, tengono il lutto per la caduta di Granada del 1492!

Nel nostro piccolo, a Santa Eufemia de Cordova ricordano benissimo di essere stati fondati dai cavalieri calabresi al grido di guerra di Sant’Eufemia! Finalmente ho trovato un pubblico potere che mi ha dato retta, e abbiamo già tenuto un convegno ufficiale: non tutti i pubblici poteri pascolano bufale a spese mie. Ne saprete di più appena matura.
Torniamo a Barcellona. La soluzione politica andava cercata prima, per salvare quello che conta, l’unità politica della Spagna. Una soluzione austro-ungarica.

Mi spiego, il più possibile in breve. Nel 1867, i rapporti tra l’Austria e la sua sottomessa Ungheria erano al limite della guerra: guerra vera, non proiettili di gomma. Ebbene, Francesco Giuseppe, Elisabetta e il conte Andrassy si parlarono, si capirono, e s’inventarono un sistema complesso e funzionante: due troni, Impero d’Austria e Regno d’Ungheria, uniti nella persona del sovrano e in alcuni affari fondamentali (imperialregi), con altri concordati (imperiali e regi), altri di totale autonomia dei due Stati e relativi governi.
Una soluzione simile si poteva trovare, a costo di tornare a prima del 1808, e chiamare il re (ufficiosamente ma comodamente) “Philippus VI Hispaniarum rex”, in latino che va bene per tutte le lingue: il primo a chiamarsi re di Spagna fu, durante il suo infelice soggiorno, Giuseppe Bonaparte. I Catalani magari si sarebbero accontentati, ora che di Asburgo non ce ne sono più. Altri meno araldici problemi, cioè i soldi, delle persone d’intelletto si siedono e ragionano. Rajoy si è rivelato un incapace. E se proprio voleva reprimere con le armi, doveva farlo molto prima, e non a seggi aperti.

Peggio di lui, l’Europa. Ragazzi, l’Europa è quella cosa che anni fa legiferò sulla forma dei contenitori delle ricotte: sul serio! E magari qualche vecchio pastore sta scontando all’ergastolo di aver usato le antiche fiscelle. Questa stessa Europa, i superpagati deputati, i burocrati di Bruxelles, non ha detto una virgola sul fatto che uno dei suoi più importanti Stati è al limite della guerra civile, e si è trincerata, come tutti i pavidi, sui formalismi giuridici! A che serve, una tale Europa?
E non parliamo di Italia, Francia, Germania: mute come giraffe.
Il 22 ottobre arriva un altro referendum: Lombardia e Veneto votano per “una maggiore autonomia”, ovvero gestire le finanze. In questo caso, niente proiettili di gomma o di piombo: la gente andrà a votare, e, a mio modesto avviso, voterà sì quanto una balena!
Perché non lo fa pure il Meridione? Ahahahahahahah! Ve l’immaginate, un’autonomia gestita da Oliverio e Viscomi e la Rocciasano, da De Luca, da Emiliano, da Crocetta? Non sono bravi a spendere i soldi che ci regalano, figuratevi a procurarsi denaro in loco! E come lingua ufficiale, quella dei neomelodici?
Per concludere, io temo che prima o poi anche nel Regno dei Feaci si diffonderà un movimento secessionista, soprattutto se corrono finanziamenti regionali. Qualche minisecessione l’ho già veduta, ma poi hanno fatto pace in nome di Wolf.

Ebbene, io propongo l’indipendenza di Pràtora da Tiriolo! Pràtora, al grido di “Alcinoo a morte!”, si proclamerà Impero indipendente, mirando anche alla conquista di Martelletto e Sarrotino. Mentulam!
Ora bisogna aprire un dibattito tra il suddetto Alcinoo, la sua autorevole consorte Arete, la bella e intraprendente Nausicaa, e i seguenti illustri signori: Acroneo, Alio, Anfialo, Anabesineo, Elatreo, Eretmeo, Eurialo, Echeneo, Clitoneo, Naubolide, Nausitoo, Nauteo, Polineo, Ponteo, Pontonoo, Primneo, Proreo, Ocialo.
Chi sono? Sono i signori Feaci di cui si parla nell’Odissea: tutti nomi di marinai, e, come può riconoscere qualsiasi grecista che non sia da depliant, contengono tutti le radici di mare o di navi, e non di pecore o querce. Chissà come si trovano male, poveracci, quando Wolf li manda a vivere a 800 metri sul livello del mare! Sì, urge una secessione dai grecisti della domenica.
Per acribia di filologo, riferisco che Alcinoo, Arete, Demodoco, Dimante, Toonte, Laodamante, Polibo, Tettone hanno nomi generici, comunque non montanari. A scanso di equivoci, preciso che l’ultimo dell’elenco è maschile e singolare.

Ulderico Nisticò


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