“Bocciate mio figlio, per favore!”


“Sono sempre più frequenti i casi di genitori di alunni disabili che chiedono alle scuole di bocciare i loro figli per proteggerli dall’indifferenza del mondo esterno. Come mai al di fuori della scuola non esistono strutture in grado di sostenere queste famiglie? E perché la politica non si fa carico di questo problema?”.

Se lo chiede il professor Roberto Zicarelli, docente in una scuola di Lamezia, che per anni ha prestato servizio di volontariato con i ragazzi disabili. Dalle pagine de Il Quotidiano, il professore solleva un problema “sottovalutato dalla società- dice – perché si tende a pensare che la scuola sia l’unica struttura in grado di occuparsi dell’integrazione sociale degli alunni con handicap. E’ risaputo che nel nostro territorio opera qualche associazione in tal senso, eppure sempre più spesso, nelle nostre scuole, genitori di ragazzi con disabilità chiedono che i loro figli vengano bocciati, perché dopo la scuola per loro figli non c’è quasi nulla. Come è possibile che, a fronte di una spesa complessiva dei comuni italiani per i servizi sociali di 6 miliardi 932 milioni di euro, si debba stare a lesinare l’assistenza ai ragazzi disabili e alle loro famiglie? Come mai la Regione Calabria non affronta questo problema”.

La denuncia del professore Zicarelli, rivolta alla latitanza delle istituzioni calabresi, e meridionali in genere, sul versante della disabilità, trova conferma in una lettera, pubblicata sul web, indirizzata da una mamma di Napoli a un’associazione di volontariato e divenuta simbolo di questo grave problema sociale.

“Sono la madre di un ragazzo di quasi vent’anni nato con un lieve ritardo mentale a causa di una malattia genetica sconosciuta. Capisco che la mia richiesta potrà sembrare bizzarra ma io e mio marito abbiamo sperato fino all’ultimo giorno che mio figlio venisse bocciato. Purtroppo, Giovanni ce l’ha fatta ed ha conseguito un diploma di maturità che probabilmente (anzi sicuramente) non gli servirà mai.Io temo che dopo la scuola per Giovanni non ci sia più nulla. Mi creda, Giovanni era felice di andare a scuola tutte le mattine. Dopo la maturità, dopo la scuola, cosa accadrà? Mi aiuti, la prego”.
Questa lettera è emblematica di come sia difficile la vita per le famiglie dei ragazzi disabili che terminano il percorso scolastico. E’ una delle tante storie di alunni con disabilità che, secondo i dati Istat (2017) in Italia sono 156 mila (3% del totale degli alunni).
Significativo è, in particolare, il dato lametino. Nell’ambito territoriale di Lamezia Terme si registrano, infatti, oltre 1400 casi di alunni con handicap, con un sensibile aumento dei casi di autismo e deficit psichici”.

E’ quanto è emerso in occasione di recenti sedute del Glh (gruppo di lavoro per l’handicap), che vede interagire le scuole e le famiglie con le equipe socio-psico-pedagogiche. Talvolta, sono gli stessi docenti a chiedersi se sia legittimo, sotto il profilo normativo, andare incontro alle famiglie che manifestano questo disagio.

“Una simile richiesta, se pur comprensibile – dice Zicarelli – a mio avviso non è legittima, come ho letto in diverse circolari scolastiche e pareri di tribunali. Per gli alunni disabili di scuola secondaria di secondo grado, la ripetenza può essere consentita, secondo me, solo per quanti seguono la programmazione normale o un Pei semplificato. Per quelli che seguono un Pei differenziato la ripetenza non ha senso, dal momento che l’allievo con la programmazione differenziata non deve raggiungere gli obiettivi dei programmi statali, ma quelli specifici fissati per quel lui, che tengono conto anche del grado di autonomia raggiunto in ogni disciplina. Sbagliano, dunque, quei consigli di classe che consentono la ripetenza di alunni con la differenziata, in caso di valutazioni sufficienti”.

Secondo Zicarelli “all’atto dell’iscrizione di un alunno con disabilità, la scuola dovrebbe programmare, in collaborazione con le istituzioni e le agenzie educative del territorio, un progetto d’integrazione che preveda anche una formazione professione e, nei casi di particolare gravità, percorsi di autonomia sociale”.

Però, se le Province, in collegamento coi Comuni – dice l’avv. Salvatore Nocera – hanno il compito di realizzare il progetto di vita che comprende il periodo successivo alla scuola media, la scuola deve collaborare con docenti curricolari preparati a saper impostare, gestire e valutare tali progetti. E su questo punto la scuola è paurosamente inadempiente, perché manca un obbligo di formazione iniziale ed in servizio di tutti i docenti sulle problematiche didattiche degli alunni con disabilità.

Antonella Mongiardo


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