Caso Regeni: c’è un giudice a Roma.


 A Roma c’è un giudice che non legge i giornali, ma gli atti; e scopre che i quattro accusati dell’uccisione del povero giovane, non solo non c’è prova che siano personalmente loro, ma, in punta di diritto, nemmeno sanno di essere accusati. Ammesso esistano, giacché, se sono “agenti segreti” (secondo le tv pacchiane, ZEROSEROSETTE!!! ahahahahahah), difficilmente sono noti con il vero nome.

 Risultato: tutto da rifare; anzi, da fare.

 Io, nel mio piccolo, ho scritto e detto molte volte che se volete “verità per Regeni”, ciò non significa la verità che qualcuno già pensa o ha letto su un quotidiano, ma quella che dev’essere cercata, come ogni verità giudiziaria. Attenti, dico verità giudiziaria: quella politica, quella morale, quella… insomma, sono altra cosa; e non si stabiliscono in un’aula di tribunale. Ma quando si vuole adire un tribunale, bisogna essere disposti ad accettarne le regole. Da un punto di vista giuridico, il processo dunque è all’anno Nullo mese Niente.

 E se volete la verità, amici, allora dovete essere pronti alla verità. A cominciare dalla domanda preliminare: come mai Giulio Regeni è stato mandato in Egitto, in una situazione di conflitto civile, a svolgere un’inchiesta su argomenti pericolosi, e palesemente molto complessi, troppo complessi, secondo me, per un volenteroso ventenne?

 E la professoressa che lo ha mandato, non sarebbe il caso di chiamarla almeno come testimone? Ci spiega, la distinta signora, perché ha scelto Regeni e non un altro qualsiasi? Ci esibisce una documentazione sull’incarico e i suoi limiti?

 Scusate, ci sono migliaia di brave persone che vorrebbero decidere la politica estera italiana nel Mediterraneo, e magari vedrebbero bene una nuova invasione armata dell’Egitto come tra il 1940 e il ’42; e nessuna che vuole interrogare la professoressa, pure per curiosità?

 E se Regeni era laggiù per indagare sui sindacati, possiamo chiedere a qualche sindacalista del luogo?

 Insomma, se processo dev’essere, processo sia: anzi, processo è, come si vede; e i processi non li fanno i giornalisti e gli opinionisti o i cortei e le interviste, ma i magistrati; quelli che, come questo giudice di Roma, applicano la legge e le procedure.

Ulderico Nisticò