Che succede ora in Iran?


Mi sono occupato delle vicende che riguardavano il mondo persiano, nel periodo che si stava discutendo la possibilità dell’accordo sul nucleare, conclusosi grazie anche all’importante contributo dell’Europa e della ottima opera della nostra Federica Mogherini nel gennaio dello scorso anno. La giornata fu definita l’”implementetion day” e sancì il rientro dell’Iran nella comunità internazionale. Pensavo che la stampa di tutto il mondo, avrebbe avuto più attenzione da quel momento per il mondo persiano, seguendo anche le dinamiche interne. Un argomento che è stato invece trascurato e, per quanto difficile e complesso da trattare per tanti aspetti, resta meritevole di attenzione. Credo che con la chiusura dell’accordo sul nucleare, l’interesse per quanto avviene in Iran, anche a livello interno sia un argomento che interessa ancor più di un tempo l’Europa e il resto del mondo. Del resto quando un paese cambia governo o si avvicina un election day (pensiamo all’America di Trump), i riflettori di tutti i giornali del mondo si puntano su di esso per sapere e seguire cosa sta avvenendo. Eppure, la prossima campagna per le presidenziali a Teheran dove il riformatore Hassan Rohani si ripresenta per la sua rielezione, non la troviamo in apertura nelle pagine degli esteri e comunque in merito in Italia si legge poco. Non dimentichiamo che l’Italia, dall’implementation day ha chiuso diversi accordi col paese islamico (per info si possono consultare alcuni link in coda) e che un cambio di governo potrebbe condizionarne gli effetti. Ma cosa sta accadendo a Teheran? Intanto l’analisi dell’attuale situazione politica persiana andrebbe contestualizzata, tenendo conto anche della novità Trump. Recentemente sul “Guardian” è apparsa una notizia, riportata peraltro da “Pars Today”, ovvero il servizio radiofonico internazionale dell’IRIB, nella quale si legge che Ali Akbar Salehi, capo dell’organizzazione atomica del nucleare davanti all’eventualità che il neo presidente dovesse decidere di “strappare” l’accordo nucleare tra l’Iran e sei potenze mondiali fra cui Washington”, ha dichiarato fra le altre cose: “siamo in grado molto facilmente a tornare indietro e non solo al punto in cui ci trovavamo , ma da una posizione molto più elevata tecnologicamente parlando”. Si tratta di una situazione da affrontare che potrebbe anche influenzare la battaglia presidenziale.

Una battaglia che sembra procedere senza esclusione di colpi, come confermato dall’avere Hassan Rohani ricordato il caso di Babak Zanjan, accusato ai tempi di Ahmandinejad di avere venduto petrolio all’estero aggirando le sanzioni internazionali. Una vicenda – raccontata da Bernard Guetta, giornalista francese ed esperto di geopolitica, che lascia pesanti interrogativi su quanto avvenuto. Infatti, Guetta, ha rilevato che a seguito delle vendite irregolari erano spariti 2,8 miliardi di dollari e che nonostante la magistratura persiana avesse dichiarato chiusa la questione con la condanna a morte di Zanjani, “Hassan Rohani a fine dicembre avesse dichiarato: “Un uomo solo può davvero rubare quasi tre miliardi di dollari? Chi l’ha aiutato? Chi sono i suoi complici? Dov’è finito il denaro?”. Con queste quattro domande – scrive Guetta – il presidente uscente e futuro candidato ha insinuato che il malloppo sia finito nelle casse dei conservatori e che sia servito a finanziare la prossima campagna per sconfiggerlo alle elezioni”. Agli interrogativi di Rohani ha fatto seguito la dichiarazione del capo della magistratura iraniana, Sadegh Larijani che ha invece chiarito che l’inchiesta non si è chiusa e che il ministro degli esteri (sotto Rohani) avrebbe dovuto seguire il percorso del denaro nei paesi che hanno acquistato il petrolio e che inoltre Zanjani ha confessato di avere versato centinaia di migliaia di dollari ai candidati alle ultime presidenziali. Quest’ultima dichiarazione potrebbe far cadere sospetti su Rohani che potrebbe avere usato questi contributi, ma quest’ultimo scrive Guetta “ha chiesto che è “pronto a fare luce sui suoi conti e si aspetta che la magistratura faccia lo stesso”. Insomma la campagna per le presidenziali in Iran, registra un forte conflitto fra governo e magistratura, che ovviamente trattandosi di una repubblica islamica, non può essere letto allo stesso modo di come avviene nelle democrazie occidentali, ma comunque presenta aspetti che per un paese che ha chiuso l’embargo ed è destinato ad ospitare investimenti di molti paesi occidentali non può essere trascurato. Né può essere ignorato che chi andrà a governare l’Iran prossimamente, conservatori o riformatori, potranno agevolare o rallentare il processo di modernizzazione in atto nel paese islamico, con tutte le conseguenze che in campo internazionale ciò potrebbe comportare.

 Fabio Guarna (Italians – Corriere della Sera)


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