Chi era Gioacchino?


 Del film abbiamo parlato, e chi è curioso rilegga articoli e repliche. Ora diciamo qualcosa su Gioacchino da Fiore.

Così viene comunemente chiamato, dall’Ordine che fondò, il Fiore, o Florensi. Si vuole che si chiamasse Giovanni, e Gioacchino fosse un cognome, donde alcune illazioni etniche non meglio determinate. Non sono certe le date di nascita e morte, e dobbiamo inquadrarlo negli eventi storici e nelle figure che incontrò.

Nato a Celico, avviato dal padre a studi di legge, sceglie la vita spirituale: un fenomeno molto comune, nella complessità culturale del Medioevo, se ricordiamo san Francesco d’Assisi, e l’elenco potrebbe non finire mai. Avrebbe compiuto un pellegrinaggio a Gerusalemme, ancora cristiana. Tornato in Calabria, entra tra i Cistercensi, Ordine derivato dai Benedettini, ma con una maggiore vocazione terrena, e con molti e importanti conventi: nel 1192 subentreranno ai Certosini in Santo Stefano del Bosco dell’attuale Serra S. Bruno. Diviene abate di Corazzo, la grande istituzione oggi in agro di Carlopoli, ma vittima di terremoti e spoliazioni.

Gioacchino, iniziando ad affacciare le sue tesi, trovò fiere opposizioni tra i teologi. È natura stessa della cultura medioevale, che figure di dotti e di santi sostenessero “dispute”, non raramente di grande forza polemica anche personale. Tra gli avversari di Gioacchino, Pier Lombardo (1100-1060), che lo accusava di separare le Tre Persone della Trinità. Interverrà Roma, ma i contendenti erano entrambi morti, dichiarando il pensiero di Gioacchino errato, anche se non eretico, e vietando la diffusione delle sue opere. Queste circolarono lo stesso, in particolare negli ambienti dei Francescani, e ne ebbe conoscenza, come diremo, Dante.

Il pensiero di Gioacchino prende le mosse dall’Antico Testamento, in cui trova elementi di “concordia” con il Nuovo. Nell’Antico trova il Padre severo e legislatore; finché Cristo, il Figlio, non propone, nei Vangeli, un’era di misericordia. A queste due età dovrà succedere una fine dei tempi, l’Apocalisse e l’età dello Spirito Santo, che non avrà più bisogno di leggi e di autorità religiose e politiche.

È facile annoverare Gioacchino nella lunga storia delle dottrine utopistiche, millenaristiche, palingenetiche: Platone, l’Apocalisse di san Giovanni, la Città di Dio di sant’Agostino… e nei secoli seguenti san Tommaso Moro, il Campanella… e le filosofie triadiche del Vico e di Hegel… e ogni tanto richiami, come pare sia accaduto a Colombo, e quando Obama, in campagna elettorale del 2009, invocò Gioacchino.

Questa è la profezia metastorica. A Gioacchino però si attribuirono anche profezie nel senso più comune. Lo cercò Riccardo re d’Inghilterra quando, nella Terza Crociata, nel 1190 fece tappa a Messina: Gerusalemme era già caduta in mano al Saladino tre anni prima, però il re chiese a Gioacchino notizie sull’avvenire. Chissà se e che gli rivelò dell’esito discutibile della Crociata, della prigionia in Austria, della strana morte sotto un dimenticato castello, e delle vicende del successore Giovanni?

Si era opposto al matrimonio di Costanza, figlia postuma di Ruggero II, con Enrico di Svevia, poi imperatore. Unica parente legittima del nipote Guglielmo II, alla morte di questi senza eredi lei, o il marito, rivendicarono il trono; ma i nobili elessero re Tancredi conte di Lecce. Seguirono avvenimenti che qui non riassumiamo, finché, morti nel 1198 sia Enrico sia Costanza, restò Federico Ruggero, poi noto come Federico II, e chiamato sia lo Stupor mundi sia l’Anticristo in persona.

Non serviva una facoltà profetica per capire che il matrimonio di Costanza contraddiceva alla politica dei Normanni di tenersi lontani da ogni situazione d’Europa e del Nord Italia, e seguire una linea mediterranea. È uno di quei casi per cui san Tommaso d’Aquino, negandogli la profezia, riconobbe a Gioacchino una “sana congettura di mente”, cioè la capacità di comprendere il presente, operazione più difficile di intuire il futuro.

Dante cita Gioacchino? Ma la Commedia cita molte centinaia di persone… e almeno due terzi di loro avrebbero preferito passare sotto silenzio. Lo chiama abate e lo riconosce profeta; curioso che tenga a definirlo “calavrese”, quasi a identificare Gioacchino con la sua terra, e la Calabria con Gioacchino.

Ben altro è il legame tra l’Alighieri e il pensiero di Gioacchino, cui si ispira nello stesso schema triadico della Commedia e nel viaggio dal male al Sommo Bene; e all’utilizzazione di un simbologia che ricorda proprio il Liber figurarum di Gioacchino.

Non resta che invitare i Calabresi a conoscere meglio Gioacchino, e a compiere gite a San Giovanni in Fiore.

Ulderico Nisticò