Chiude una Media, o lo spopolamento del Meridione


In un paese (ex uno disce omnes, non importa il nome) chiude la Media per mancanza di iscritti. Se uno si vuole arrampicare sugli specchi, ci sono anche motivazioni locali… Ma sarebbero sofismi e polemichette paesane. Qui dobbiamo ragionare non su un caso, ma su un fenomeno epocale: lo spopolamento del Meridione.

Per millenni, il Meridione è stato sempre discretamente popolato. Nel XVII secolo, la Calabria, secondo dati ufficiali riferiti dal mio padre Fiore, contava 550.000 anime censite, e altro; mentre ai primi del secolo seguente l’Inghilterra (non ancora unita a Scozia e Galles) ne numerava in tutto 4.500.000. La densità di popolazione è attestata dalla grande frequenza di insediamenti, con poche grandi città e moltissimi piccoli centri comunque vitali.

La crescita demografica continuò, tanto da causare i due momenti di emigrazione di massa: fine Ottocento e primi del Novecento; e gli anni 1950 e seguenti.
Il Mezzogiorno era dunque “proletario”: debole di risorse e ricco di braccia. Ebbene, secondo un dato ufficiale del 2013 ma senza dubbio più antico, il numero dei morti supera, ogni anno, quello dei nati.
Attenzione a non leggere questa notizia con la lente deformante dei luoghi comuni: a Sud non muore nessuno, anzi la nuova industria, al posto degli asili e delle scuole, sono le case di riposo per anziani. Se il numero dei morti supera, ogni anno, quello dei nati, non è perché si muore, ma perché non si nasce. E nei nostri paesi vedere anziani è molto più comune che sentire squillanti voci di bambini e ragazzi.

Fidatevi poco dei numeri forniti dagli uffici anagrafici comunali: tanti cittadini hanno mantenuto la residenza, figli inclusi, però vivono altrove undici mesi e mezzo l’anno.
È dunque evidente che il Meridione si spopola. Sarei curioso di conoscere i numeri dei matrimoni e similia, e quanti figli nascano e stabilmente vivano nei nostri paesi. Ci vorrebbero sociologi che operino sul campo, non vadano a pigliarsi le carte al Comune.
Per impedire lo spopolamento, occorre la cosa più ovvia: una sana economia; e qui ci vogliono interventi su agricoltura, piccola e media industria, turismo, servizi seri e non scaldasedie, cultura, socialità…

Quanto ai borghi interni, occorre una coraggiosa decisione: non si può volere assieme un centro storico e un parcheggio per le auto; un monastero e il supermercato; una trattoria tipica e la discoteca. Ho sotto gli occhi Spello, a due passi da Assisi, dove ci sono tre aree ben distinte: la romana Hispellum, la medioevale e rinascimentale Spello, e una zona industriale; vero, ma ognuna per conto suo.
In Calabria abbiamo riempito i centri storici di bruttissime preture prefabbricate… qualche anno prima dell’abolizione delle preture; a Soverato, abbiamo, nello stesso kmq scarso, case scuole caserme uffici pineta lungomare e lidi con decibel immani… Esempi di spaventosa assenza di ogni urbanistica e ogni piano regolatore.

Questi sono i problemi. Le soluzioni, se ci sono, dovrebbero essere oggetto di una discussione tra persone credibili, e che non perseguano miopi interessi elettorali o altri. Serve ridurre drasticamente il numero dei Comuni in quanto enti; concepire idee di utilizzo dei comprensori; attirare attività economiche realmente produttive, quindi lavoro e lavoratori con le famiglie.
L’economia genera economia; il contrario, l’improduttività, cresce, e non aritmeticamente, ma in progressione geometrica. Infine, motus in fine velocior: può venire un momento in cui la decadenza divenga crollo come il porto di Genova, cui nessuno ha messo mano, ed è sotto gli occhi il disastro.

Ulderico Nisticò


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