Clandestini e silenzio stampa, e soluzione


 Due stragi di infelici, una nel mare della Tunisia, una in Libia. Ne accenna il Televideo; ne tacciono i tg vari. Evidente l’ordine di servizio – non  ordine scritto, certo: in democrazia gli ordini si sussurrano – che viene da una maggioranza con una Lamorgese inerte e un Salvini improvvisamente muto. Da notare che anche gli immigrazionisti accaniti si adeguano al suggerimento del silenzio: lasciamo correre, lasciamo morire.

 Ogni tanto, sempre sussurrate, notizie interne: morti strane, delitti, spaccio… a riprova che ci sono, in Italia, aree sociali e topografiche che sfuggono ad ogni serio controllo; per esempio, non ci risulta che i clandestini siano vaccinati. Basta, come esempio?

 Ogni tanto, i governi italiani di turno, anche questo Draghi, indicono riunioni internazionali sull’argomento, che si aprono e si chiudono con parole in libertà e niente fatti.

 L’Europa sedicente Unita è proprio su questo argomento che mostra la sua perversa natura: essa è un’organizzazione con finalità finanziarie (attenti, finanziarie, non economiche!), e governata da una burocrazia autocefala e che si riproduce per partenogenesi. Essa, l’E(s)U, è del tutto priva di ogni anima ideale e morale; e di ogni benché minima consistenza politica. Ne è uscita la G. Bretagna; se ne uscisse qualcun altro, non se ne accorgerebbe nessuno.

 Se ci fosse un’Europa, farebbe la sola cosa seria e per noi e per gli stessi miseri che partono e muoiono; e se arrivano, vivono malissimo: non schiavi, perché almeno gli schiavi mangiavano ogni giorno, e quelli solo quando li sfruttano.

E cosa fare? Bloccherebbe militarmente le coste della Libia e della Tunisia. A parte che salus reipublicae suprema lex, la cosa si sbriga in una settimana da un punto di vista del diritto internazionale: ultimatum, e, in mancanza di risposta o con risposta negativa, azione.

 A tutti gli improvvisamente esperti di ius gentium e di art. 11 cost, ricordo che dal 1982 l’Italia ha mandato, e tiene tuttora, truppe e navi in Libano, Iraq, Oceano Indiano eccetera… e in un posto che sono sicuro almeno il 75% degli Italiani ignori dove sia: Timor Est. Se abbiamo mandato a Timor Est, possiamo mandare anche in Libia e Tunisia. Tranquilli, un mandato dell’ONU, per quello che conta, non si nega a nessuno. Ah, dimenticavo, siamo da un mese ad Hormuz, che io stesso ho difficoltà a ricordarmi dove si trovi.

 La questione seria è tecnica. Una spedizione militare ha bisogno di una catena di comando unica sul campo, e senza intromissioni di politicanti, umanitari, giornalisti, benefattori eccetera. Un generale, ovviamente italiano, che dia ordini secchi e chiari, e ne pretenda l’esecuzione.

 À la guerre, comme à la guerre. È da prevedere la passività della Tunisia come dal 146 a.C.; mentre in Libia potrebbero reagire i non so quanti sedicenti governi e parlamenti, e fin qui sarebbe facile; o le bande di trafficanti e scafisti. Ebbene, queste sono illegali anche dal punto di vista libico, perciò se mettono mano alle armi, è perfettamente lecito sparare a bersaglio.

 Ovvio che i militari impegnati non debbano essere esposti ad avvisi di garanzia che li rovinino a vita pagando avvocati. Sono al fronte, obbediscono ad ordini. Ordini, ripeto, non “regole d’ingaggio”, perché sono militari e non cantanti. Quando io, per 60 notti, fui di guardia, nessuno mi disse che “potevo” sparare, magari dopo un’attenta valutazione della situazione politica italiana e mondiale, ma che, rispettate alcune formalità, dovevo. Se avessi sparato, mi toccavano sette giorni di licenza premio più viaggio: peccato che non venne nessun nemico.

 Ultima noterella di polemologia: cosa fatta, capo ha. L’operazione avrebbe successo se condotta presto e bene. I giornali e tg? Beh, basta un sussurro, e la guerra di Libia passa a pagina 35, dopo le notizie sportive.

Ulderico Nisticò