Corea del Sud, paradiso infernale; e il vecchio Marx


 Ci dev’essere qualche ventata di follia, nel mondo. Fino a ieri, pensavamo tutti che la Corea del Sud fosse un paradiso di ricchezza e democrazia e tante altre belle cose. Tutti, si fa per dire. Conoscendo la storia anche di quelle parti, io ricordo che la Corea era un dominio giapponese, nel 1945 occupato metà dagli Americani e metà dai Sovietici; nel 1951 scoppiò una guerra, che l’ONU dell’epoca, anche all’epoca un ente inutile, pensò di risolvere con due Coree: come c’erano due Germanie e due Vietnam, e qui si sa come andò a finire.

Ebbene, la Corea del Nord divenne comunista che più comunista non si può, con il corollario di essere un comunismo monarchico di padre in figlio. Il mondo è bello perché è avariato!!!

Invece la Corea del Sud era, nell’immaginario collettivo, un Eden di elettronica e industria e lavoro e ricchezza e cartoni animati; finché il 3 dicembre non abbiamo dovuto sentire per radio che il paradiso è in guerra civile. Il presidente Yoon, autore del autogolpe e alla ricerca di una scusa, se la piglia con la Corea rossa; la quale avrà tutte le colpe che volete, però in questo caso non c’entra niente, e il guaio della Corea paradisiaca è perfettamente interno, e non è un guaio comunista, è un guaio liberaldemocratico e capitalistico; e si vede che la società della felice Corea è intrinsecamente guasta.

Nel 1989 è caduto il comunismo, Corea del Nord a parte; nel 2025, è il turno del capitalismo e della sua forma istituzionale?

Carlo Marx disse di non essere un marxista; però era marxiano, e in questa veste ogni tanto la imbrocca anche lui. Disse che il capitalismo rischia di accumulare i soldi in mano a pochi, e quindi escludere gran parte della popolazione non dico dalla ricchezza, dico anche dal minimo. A questo punto – ma qui Marx fa le sue osservazioni – scoppiano le rivolte; rivolte che non sono rivoluzione, e proprio per questo sono senza controllo e senza alcuna finalità: sommosse. La rivoluzione, affermò Napoleone, è “un’idea che ha incontrato delle baionette”, cioè una forza organizzata e disciplinata; o, come leggiamo in Mao, “per fare la rivoluzione occorre un partito rivoluzionario”. Invece in Corea del Sud stiamo assistendo, a quanto pare, a delle agitazioni da Lumpenproletariat, sottoproletariato formato da masse in evidente disagio non unicamente economico, ma esistenziale e di identità. Non di soli computer e non di sole automobili “vive l’uomo”, e non di soli cartoni animati e felicità fasulla. Tanto più quando vaga in città di ricchi dovendole guardare da lontano!!!

Anche in Europa, temo, si stanno formando di queste masse di ex ricchi o ex benestanti o ex bastanti ma oggi divenuti poveri; e di poveri che si sentono estranei alla società in cui vivono. E di assenza di comunità, di fede, di miti, di sogni…

La causa è la tecnocrazia: 1.000 lire diventate un euro invece di 0,52; esempio, chiamare un tale Tavares, pagarlo un botto di soldi l’anno, e aspettare che si riveli, come si rivelò, un incapace disastroso. Come insegna Platone, i tecnici non devono comandare ma solo eseguire; devono comandare i filosofi, ma è proprio di filosofi di cui avvertiamo palesemente l’assenza. Filosofi, non insegnanti di filosofia: servono menti politiche, e l’Occidente liberalcapitalistico democratico non ne ha: Corea inclusa. E non ne può avere, perché proclama l’uguaglianza in basso; e, come a Seul, un uguale qualsiasi fa il presidente; e a un ignorante con laurea si affida la produzione dell’auto.

Ulderico Nisticò