Cosa ci fu prima dell’archeologia


In margine alla relazione del prof. Cuteri per la Terza Età, e del convegno del 21 maggio a Gagliano di Catanzaro, voglio riflettere sull’archeologia calabrese sotto l’aspetto storiografico: che idee c’erano, prima dell’archeologia scientifica?

Nella Calabria dei secoli passati, non mancò una memoria storica dotta, con la riscoperta dei testi classici avvenuta in Europa, e quindi anche in Calabria, dall’Umanesimo. Si prese atto della storia antica e delle città magnogreche e romane, senza però certezza sulla loro ubicazione.

Di Sibari si ripeterono i luoghi comuni di ricchezza e mollezza, e la notizia della distruzione da parte di Crotone; ma l’area era tutta palude fino a non molti decenni fa, e solo di recente si riconobbero i resti di Sibari, Thuri e Copia.
Del tutto ignoti erano, prima dell’Orsi e di pochi altri pionieri, Caulonia (Monasterace); e non solo l’area archeologica, ma la stessa attuale città di Locri non esistevano fino a metà Ottocento, e la zona era detta “u Fegu”, feudo rustico, latifondo.

C’era invece memoria di Crotone, come mostra la conservazione del nome, sia pure nella variante Cotrone; e più d’uno, tra cui il poeta Francesco Grano, parla di due colonne di Era Lacinia e non di una sola; mentre è palese il riuso dei materiali antichi nella Crotone medioevale e vicereale.

Molti storici accennano all’attuale Roccelletta, del resto spesso utilizzata come fortezza, donde il nome di Kastron / Rochelle. Ma si parlò di Tres Tabernae, quindi Paleopoli; persino di Petelia; e il Pinnello, nel 1608, la chiama… udite udite… Poliporto! Che sia COLONIA MINERVIA NERVIA AUGUSTA SCOLACIUM lo attesta l’iscrizione scoperta nei primi decenni del Settecento, e conservata nel Municipio di Squillace.

Petelia, citata da molti storiografi classici, ebbe sorti ancipiti; finché non se ne arrogò l’onore [Petilia] Policastro. È invece Strongoli.
I dotti di Tiriolo, evidentemente fantasiosi anche nel passato come sono oggi per Ulisse (ahahahaha!) si attribuirono di essere Thuri.

Lo stesso fece Castelvetere con Caulonia, donde la confusione verbale che tuttora regna. E così Pietramala che si volle, non si sa perché, Cleto.
Tornando a Locri, rinacque come frazione di Gerace, poi Comune, e solo nel 1936 riprese il nome classico. Tormentata la toponomastica di Ipponio, Veipunio, Vibo Valentia, Ippona, Monteleone, Monteleone Calabro, e di nuovo Vibo Valentia nel 1928. Ma il sito è lo stesso, e c’è sempre stata memoria storica dell’intero passato.

La memoria popolare non fu da meno, anche se confusa: ma è attestata da numerosi toponimi come Policoro, Pallagorio, Poliporto, Policastro, tutte parole che contengono χώρα (khora, luogo) e varianti di παλαιός (palaiòs, antico). C’era dunque ricordo popolare di “luoghi antichi”, abitati in tempi remoti. E non possiamo trascurare l’usanza, molto diffusa, di ricondurre i Santi, una volta l’anno, dove si ricordava fossero stati: lo facciamo anche a Soverato, dopo Pasqua.

Ulderico Nisticò


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