Non so se ricordate le diverse stagioni in cui RAI 3 nazionale mi invitava ripetutamente come apprezzato opinionista, e poco mancò, su pubblica proposta del compianto Califano, che non mi mettessero a contratto. Ebbene, bastò che io pronunziassi la parola SIGONELLA, perché si dimenticassero della mia esistenza.
Si chiama censura? Sigonella era la base americana in Sicilia dove venne a termine il caso della nave Achille Lauro dell’ottobre 1985, con il tentativo USA di impadronirsi di un palestinese, e la scena iconica dei nostri carabinieri con i mitra spianati contro i militari americani.
Era presidente del Consiglio Bettino Craxi, che morrà il 19 gennaio 2000 in Tunisia, colpito da una campagna di accuse e diffamazioni orchestrata dai comunisti e dalla cultura di sinistra.
Non è qui il caso, ma sarebbe divertente scrivere una storia delle lotte interne a sinistra dalla metà del XVIII secolo a oggi. La domanda cui non si può rispondere con delle prove, e torniamo a Sigonella, è (ora che va di moda il latino), “utrum post hoc an propter hoc?”, cioè Craxi venne colpito dopo Sigonella o esattamente e direttamente a causa di Sigonella? Ancora qui non è luogo, però va scritta la storia degli anni 1980 in Italia e nel Mediterraneo, scoprendo quante manine pendule si sono mosse tra i fatti politici e i misteri e delitti tuttora celati, tra cui il caso Moro.
Torniamo a Craxi. Prima di lui, i socialisti italiani erano ridotti a pochi e timidi, incerti se stare al guinzaglio dei comunisti o dei democristiani o di entrambi; e, ovviamente, frantumati in correnti e gruppetti. Craxi combatté esplicitamente il compromesso storico, emarginando il PCI; e giocando alla pari con la DC, anzi imponendosi anche per prestigio personale e per quello che allora si chiamò “decisionismo” invece dell’eterno rinvio della politica italiana.
In politica estera, ne basti una: dichiarò che se l’Italia non era chiamata a partecipare, non avrebbe riconosciuto nessuna decisione dell’allora G 5, che dovette diventare G 7.
Tutto bene? No, perché Craxi commise un errore gravissimo: pur di aumentare il consenso, aprì il partito a chiunque, letteralmente a chiunque, e chiunque vi entrò, attirato non dalle idee di Proudhon (chi era costui? Tranquilli, non importava niente a nessuno!) ma da posti e favori. Si calcolò che con il 15% dei voti, i socialisti gestivano il 40% del potere, e, quel che più conta, del sottopotere.
Perché è un errore? Perché i socialisti genuini, quei pochi, finirono esclusi; e a comandare nel partito furono i neosocialisti. Volete che vi racconti di chi, a Soverato, era iscritto al PSI e, al buio, mi dava un contributo per pagare la sede del MSI-DN? Parce sepulto. In queste condizioni, il PSI, non essendo più socialista, sparì con Craxi e con la possibilità di spartirsi qualcosa.
Avrebbe fatto meglio, Craxi, a tenersi almeno un poco di socialisti veri, da usare come guardie rosse e spaventare i furbetti. Del resto, lo stesso accadrà, dopo il 1995, ad Alleanza Nazionale di Fini, cui si iscrissero tutti i trovatelli e riciclati e voltagabbana, tutti tranne i missini autentici, tra cui, ovviamente, chi scrive; e che, al momento giusto, piantarono Fini e quell’AN di cui, giustamente, non si ricorda nessuno.
Se Craxi avesse avuto un partito e non bande di approfittatori, forse la sua storia politica e personale sarebbe stata diversa?
Ulderico Nisticò