CSM, dicastocrazia e dicastocrazie, e fiducia nei giudici


 All’alba, ancora un po’ confuso e sentito un tg, sulle prime tifavo per Tizio contro Caio per la (vice)presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura, che sta per avvenire oggi 25 gennaio in giornata, e lo sapremo stasera. Svegliatomi sul serio, mi sono dato un fortissimo pizzicotto: “Ma sei matto, Ulderico? Tifi per un giudice contro un altro giudice? E dove siamo, a Sanremo?”

 Assurdo, infatti, che dei giudici di qualsiasi grado, e tanto peggio quelli del CSM, abbiano e manifestino idee e appartenenze partitiche, e nemmeno spacciate per diverse filosofie del diritto, ma proprio tessere di partito. Conclusione: non siamo nemmeno più alla dicastocrazia (potere della magistratura) ma alle dicastocrazie, potere dei singoli giudici e delle loro bande, dette “correnti”.

 Tutti… beh, quasi tutti sappiamo che l’uscente CSM è stato esplicitamente accusato di spartizione di posti e sistemazioni di amici e parenti. Invano abbiamo atteso un intervento a tale proposito. Abbiamo anche atteso una riforma del CSM, e invece siamo al punto di prima, quindi malissimo.

 Ora mi viene un’ideona maligna. Non serve una riforma del sistema giudiziario, serve esattamente un sano ritorno indietro, al vecchio Montesquieu (1689-1755), e a quanto scrivono tutte le costituzioni occidentali, inclusa quella italiana del 1948: il potere giudiziario dev’essere libero e autonomo, quindi non si deve minimamente confondere con gli altri due poteri, cioè il legislativo e l’esecutivo. Ovvero, se un giudice si vuole iscrivere a un partito o candidare a sindaco, prima di tutto si deve dimettere da giudice, e cercarsi un altro lavoro.

 Se no succede che la gente non si fida dei giudici politicizzati e con tessera. Come del resto, in troppi casi non ci fidiamo di alcuni, di molti giudici, a cominciare dal CSM e del suo imminente (vice)presidente, chiunque esso sia.

 Avete capito la malignità? Io, proprio io, voglio semplicemente quello che sta scritto dal 1948, e di cui tutti, dal 1948 a oggi, se ne sono impipati. Che mi rocca fare, appena svegliato!

Ulderico Nisticò