Cultura senza noia


È convinzione sottintesa ma radicatissima in Calabria che la cultura debba essere per forza noiosa e passiva, anzi che lo sia per natura. Passiva, sì: di una persona colta si dice che è “preparata”, participio passato passivo!
Altrove non è che ci sia stata cultura più della nostra, è che è stata più vivace: si pensi solo a quel massimo del politicamente scorretto che è la Divina Commedia; la cui alta poesia non impedì affatto a Cecco Angiolieri di prendere in giro Dante in un celebre sonetto velenoso.
In Calabria, detto in generale, l’idea che corre dell’uomo di cultura è di persona pesante, grigia, infrequentabile, solitaria, e magari un tantino valetudinaria e malaticcia; e isolata, mentre il popolo, cioè il 99,9% degli esseri umani, brancola nell’analfabetismo scolastico e morale. La mia personale esperienza non è affatto tale, e qui vi dimostro che si può fare cultura con imponenti lavori teatrali popolari, e, di conseguenza, che il loro autore non è né noioso né depresso né, tanto meno, politicamente corretto.
Io ho scritto e fatto rappresentare, con tanti attori e foltissimo pubblico, questi drammi storici, senza dire di quelli sacri e mitologici, di cui diremo a parte: Le nozze di Sancha e Jofrè; La visita dei Borgia; Processo a Guglielmo Pepe; Savina; Le nozze di Savina; Poliporto, la leggenda di Eutimo e Caritea; 4 ottobre 1806; Soverato 1521; Presidio di fede; Nei giardini del duca di Petrizzi; Le acque dell’Ancinale; Settingiano; Per molti altri secoli; La fortezza dell’amore; Davoli 1861; Squillace, i muri e le anime; Ruggero e Giuditta; Crepacore; Ella è simile alle dee; Vivariense dei pesci e delle anime; Ai tempi dei fratelli Pepe; La vittoria del Rosario; Filangieri; La Picocca; San Francesco di Paola; Alla fontana dei Francesi; Le Frascare di Policastro…
Lode agli attori, dilettanti meritevoli di essere chiamati professionisti; ma qui m’interessa più il pubblico, che ha partecipato alla conoscenza della storia attraverso la funzione del teatro, che è trasmettere emozioni.
Ecco cosa manca da secoli, in Calabria, l’emozione. E se la cultura ne è priva, allora è come una medicina, che magari fa bene, ma non è visto nessuno correre con entusiasmo in farmacia per comprare le pillole!
Il dramma di Momo è quanto mai politicamente scorretto, e perciò profondamente umano. Leggete questa invettiva di Nicodemo:

CICCO
Tu, Nicodemo? Non hai voglia di ammazzare Francesi?

NICODEMO
Vattene, ceppo del fuoco del diavolo, crudele Cicco…
sergente Cicco, vuoi che ti chiami,
da quando così t’intitolò Fabrizio Ruffo?
sergente Melanò, come direbbero i signorini!
Uccidere soldati francesi è la tua arte…
uccidere giacobini è il tuo piacere…
uccidere, solamente uccidere.

CICCO
Vuoi essere pietoso, Nicodemo, contro i nemici del re?

NICODEMO
Il re? Il cardinale? Per le vostre rabbie siete bravi a trovare un motivo!
Anche i giacobini, sai, fanno scorrere sangue
per certe parole che riempiono loro la bocca.
Le ho sentite da un notaio e da un parroco.
Essi uccidono per la libertà, la fraternità e… aspetta, non ricordo, ah, l’uguaglianza.
Anche loro hanno inventato tre ottimi pretesti per assassinare.
Loro per la felicità, tu per il re!

CICCO
E tu, Nicodemo, non hai un motivo?

NICODEMO
Io? Sicuro, come tutti, e lo sai: io devo combattere e uccidere e morire per questa chiesa di Nostra Signora della Vittoria.
Così si chiama da quando, molto tempo fa, i nostri nonni batterono per mare i Turchi.

MARZIALE
Un bel nome, mi piace.

NICODEMO
Mi mise al suo servizio mia madre, che Dio le risparmi il Purgatorio.
Io la tengo pulita, io riparo se patisce danno dal vento, io servo la Messa se capita un sacerdote; io ho il fucile per uccidere, se qualcuno offendesse la mia chiesa.

CICCO
Questo è il tuo motivo, pio Nicodemo?

NICODEMO
Per questo motivo sparerei a chiunque, se sarà necessario.
Va’ tu in guerra, o manda, Cicco feroce: io, questa è la guerra di Nicodemo.

E infatti, Nicodemo… Ma venite a San Sostene, venerdì 11 e vedrete che fa.

Ulderico Nisticò


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