Delitto Scopelliti, dopo 34 anni arriva la svolta: 20 indagati tra cui i vertici di ’Ndrangheta e Cosa Nostra


A distanza di 34 anni dall’omicidio del giudice Antonino Scopelliti, avvenuto il 9 agosto 1991, le indagini hanno registrato una nuova e significativa svolta, portando all’iscrizione di 20 indagati, tra cui figure di spicco dei vertici di ‘Ndrangheta e Cosa Nostra.

Antonino Scopelliti era un magistrato della Procura Generale della Cassazione e avrebbe dovuto sostenere l’accusa nel maxi processo contro Cosa Nostra. Fu assassinato mentre era in vacanza in Calabria, nella località di Piale, frazione di Villa San Giovanni (Reggio Calabria).

Secondo le ultime informazioni, un’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Reggio Calabria ha ricostruito in maniera più dettagliata il quadro dell’agguato, indicando un’alleanza criminale tra mafia siciliana e ‘ndrangheta calabrese per eliminare il magistrato.

Tra i nuovi indagati figurano nomi di grande risonanza nel panorama criminale italiano, inclusi boss già deceduti come Matteo Messina Denaro (ex capo mandamento di Castelvetrano e figura centrale di Cosa Nostra), e capi storici della ‘Ndrangheta come Pasquale Condello, Giuseppe De Stefano, Luigi Mancuso, Giuseppe Morabito, Giuseppe Zito e Franco Coco Trovato.

Le nuove indagini si basano anche sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Avola, ex killer di fiducia di Nitto Santapaola, che nel 2019 aveva già fornito elementi importanti, consentendo il ritrovamento di alcune armi che, a suo dire, sarebbero state usate nell’omicidio. Secondo Avola, il delitto sarebbe stato deliberato in un summit a Catania nella primavera del 1991, con il benestare di Matteo Messina Denaro e il supporto logistico e militare di diversi clan calabresi. A sparare, sempre secondo Avola, sarebbe stato Vincenzo Salvatore Santapaola, figlio del boss Nitto.

Il decreto di perquisizione emesso dalla Procura, firmato dal procuratore Giuseppe Lombardo e dal sostituto procuratore Sara Parezzan, rivela nuovi dettagli, come la presenza di un “corteo di autovetture” che avrebbe partecipato all’agguato. Tra queste, un’Alfa Romeo 164 con a bordo Messina Denaro ed Eugenio Galea, una Mercedes con Aldo Ercolano, e una Fiat Uno usata per la fuga da Marcello D’Agata. Questi soggetti sarebbero stati presenti per assicurare il buon esito dell’esecuzione.

Si ipotizza inoltre che Messina Denaro fosse stato informato sulle abitudini del magistrato da Salvo Lima, il politico democristiano assassinato da Cosa Nostra nel marzo dello stesso anno. Un basista calabrese, ancora ignoto, avrebbe fornito i dettagli logistici necessari per il blitz. Il mandato omicidiario, secondo gli inquirenti, proveniva direttamente da Totò Riina.

La DDA di Reggio Calabria sta continuando le indagini, che potrebbero portare a ulteriori sviluppi in uno dei “cold case” più importanti della storia della mafia italiana.