È ora di una terza riforma della scuola


Rinuncio a capire qualcosa dei banchi a rotelle, pullman al 60%, aperture a gogò… Se non per dire, anche alla luce… al buio delle mie memorie di vecchio prof, che questo frangente del covid ha fatto esplodere la realtà profonda di una scuola in ormai radicato disordine. Serve, è urgente una terza riforma della scuola.

Perché, terza? Perché di riforme vere e serie la scuola italiana ne vanta solo due: quella Gentile del 1923, quella Bottai del 1939; ogni altro intervento fu fatto a caso, estemporaneo, politicizzato, per uscire sui giornali… e ciò sia detto per tutti i ministri PI dal 1944. Perché dal 1944? Perché nei tre mesi in cui fu mezzo ministro, Benedetto Croce tentò e in parte riuscì a guastare la Bottai. Da allora, il diluvio. E attenzione che la Gelmini non fu migliore della Azzolina.

La riforma del 1923 era organica, dalle elementari all’università; e si fondava su un corso di studi classico (dal 1927, anche scientifico) per la formazione della classe dirigente; e ottime scuole tecniche; e un avviamento professionale molto serio. Bottai istituì la SMU, media inferiore per tutti, in prospettiva obbligatoria, ma conservò l’avviamento; nella SMU, materie come lavoro etc, che Croce abolì per spocchia di grande proprietario di pecore: ecco il danno di cui sopra.

Negli anni 1970, dilagò la demagogia, anche se non riuscirono a demolire Gentile e Bottai; ma qualcuno voleva il preside elettivo tipo USL; e la didattica ufficiale impose la programmazione, con l’intento di spersonalizzare l’insegnamento e farne un meccanismo automatico, tale che se, mentre recitavo, che so, Piccarda e i ragazzi mi guardavano come un’apparizione, però mi beccavo un accidenti, il mio supplente riprendesse “En la sua voluntade è nostra pace”, come se niente fosse. A proposito, secondo loro, io avrei dovuto o no leggere… recitare il III Par. non perché a me piaceva ai ragazzi pure, ma perché l’aveva deciso, ai voti, il collegio dei docenti, che magari toglieva Dante e di metteva don Milani. Fortuna che la folle idea fallì sul nascere.

Perché mi dilungo con queste ironie? Perché i mali della scuola sono nel fatto che, in quegli anni 1970, rimase lo stesso delle due riforme vere, 1923 e 1939, però applicate all’improvviso a una scuola di massa. Ciliegina guasta sulla torta, gli esami di maturità di Misasi tutti promossi (fo todos barones), e tutti iscritti all’università; e vi ricordo che fino al 1985 uno poteva insegnare greco senza aver sostenuto manco un esame all’università.

E quando leggo certe sentenze – non faccio nomi – mi gioco un rene che certi giudici non hanno mai studiato filosofia del diritto, anzi nemmeno filosofia alle superiori. Fuori il curriculum!
E alla fine, ragazzi, c’è pure che dal 1923 sono passati 98 anni: una riforma ci vuole. Pensiamoci. Chi? Avete mai sentito i professori parlare di riforma della scuola?
Mai!

Ulderico Nisticò