La Francia è in rivolta ogni sabato; la Sardegna mostra le vibranti proteste dei pastori; si aggiunge la Sicilia con il latte e il grano; e c’è stato persino un episodio nella sempre mite Calabria. Cos’hanno in comune? Sono rivolte di agricoltori e allevatori, due categorie evidentemente colpite da crisi, e abbandonate dal sistema dell’Europa Unita.
La causa è sempre la stessa: l’Europa è governata da teorici, economisti plurilaureati, burocrati; e costoro, per le ottuse strutture della loro testa, altro non sanno fare che applicare le loro libresche dottrine. Queste dottrine, evidentemente, non includono l’agricoltura tradizionale, ma solo quella tecnologica della Valle del Reno, che, in termini sociologici, non è agricoltura ma industria, e produce patate con gli stessi criteri e con la stessa organizzazione del lavoro con cui una fabbrica produce le auto e i telefonini.
Per gli agricoltori e allevatori delle aree marginali, il risultato è stato o l’impossibilità di reggere ai ritmi finanziari; o, se guardate soprattutto alla Calabria, l’abbandono della terra. Se infatti le spese sono superiori al ricavo, qualsiasi attività può solo cessare.
Ci sono poi cause profonde, in una generalizzata demonizzazione, direi persino ridicolizzazione dell’essere contadino; e la si legge sui libri di scuola, da don Milani in poi. Chi vive in campagna è rozzo, ignorante, e, orrore!, non si diverte. E, di solito, gli agricoltori sono tradizionalisti, religiosi, reazionari… e non votano come vorrebbero gli intellettuali. E nemmeno comprano come vorrebbero i burocrati. Tra condizionamenti psicologici e politici, e crisi reale, l’agricoltura delle aree marginali tende a sparire.
La politica europea non la favorisce, tutt’altro; ed è un altro ottimo motivo perché, partendo da maggio prossimo, si riveda radicalmente il concetto stesso di Europa, che deve smettere di essere a favore di qualcuno a danno di qualcun altro.
Serve una rappresentanza europea forte e decisa, e che abbia a cuore anche i problemi degli allevatori e agricoltori.
In verità, serve anche un ripensamento delle attività agropastorali, che devono evitare le crisi di sovrapproduzione, e migliorare la qualità. Non ha senso produrre tonnellate di invenduto, magari sperando in contributi europei. È finito il tempo di “ u baruni ’nd’ava olivari!”, cioè delle enormi quantità di olio di mediocre o cattiva qualità (era olio da bruciare, lampante, ovvero “ojjiu da lampa”) e che non vuole nessuno.
Anche l’agricoltura e la zootecnia vanno indirizzate e guidate, ed è dunque un fatto di politica, e non delle mitiche, e quasi sempre fasulle “leggi economiche”, il cui effetto è spesso l’arricchimento dei ricchi e l’impoverimento dei poveri… fin quando i poveri non si ribellano.
La storia è piena di rivolte di contadini: ce ne fu una seria anche in Calabria… nel 1459. Di solito, non sortiscono esiti. Ma qui interviene il vecchio Marx, il quale ogni tanto la pensava giusta: quando i ricchi sono troppo ricchi e i poveri sono troppo poveri e non possono acquistare niente, è lo stesso sistema capitalistico ad andare in malora. Nel caso dell’Europa, in malora ma con il bilancio a posto!
Ulderico Nisticò