Fallimento sanitario e soluzioni


 Il disastro della sanità in Calabria è conclamato, e del resto la Calabria è un disastro globale. Ma la sanità non è andata in malora negli ultimi anni, è nata guasta: la politica ha corrotto la medicina, e i medici hanno corrotto la politica; in mezzo, logge, cosche, partiti e amici degli amici. E ciò da quando c’è la Regione, 1970; e da quando la Regione ha potere sulla sanità. Mi fermo, perché spero che i lettori siano informati non teoricamente, ma sulla propria pelle; e temo che altri, invece, lo sappiano per averci guadagnato.

 Da quasi dieci anni, la sanità calabrese è commissariata, a riprova che il fallimento è ben noto a livello nazionale. Vero, ma, direbbe Giovenale, quis custodiet ipsos custodes? Ovvero, i governi che hanno nominato i commissari, li hanno mai controllati?

 No, vero?

 Vi ricordate Miozzo, il quale, per accettare, aveva chiesto pieni poteri? Non glieli diedero, e non accettò. Evviva, una persona seria.

 Longo, ultimo della triste serie, è commissario da mesi, e non ha cavato un ragno dal buco; non ha assunto alcun provvedimento radicale; non ha cacciato nessuno degli evidenti colpevoli di inettitudine. Dalla faccia, non mi pare il tipo; ma quand’anche lo fosse, non ne ha i poteri; e i pochi che ha, se li deve spartire con un mare di sfaccendati, di cui un gran numero cointeressati se non corrotti. Ve lo immaginate voi, che so, un comandante di nave in tempesta che, prima di dare un ordine urgente, si metta a discutere del più o del meno con ufficiali, marinai, passeggeri, e si preoccupi di cosa ne pensino i mozzi? Intanto, la nave affonda: ecco, è quello che sta succedendo in Calabria alla sanità.

 E invece ci serve un commissario vero, con pienissimi poteri e i baffi per esercitarli senza guardare in faccia a nessuno, senza badare alle conseguenze… Sono in vena di citazioni, ed ecco Virgilio: una salus victis, nullam sperare salutem; cioè, chi ha perso tutto, non ha più niente da perdere, quindi deve tentare ogni cosa, anche la più assurda, anche la più folle. À la guerre comme à la guerre!

 Ma si offende il politico X, piange il politico Y, singhiozza il medico Siringone… beh, peggio per loro: un’altra volta imparano a essere onesti e seri.

 Ma spara, la mafia… beh, faccio il primo esempio che mi viene a mente: se avessero avuto paura della morte, non avrebbero affondato le due corazzate inglesi, etc, ad Alessandria, i nostri sommergibilisti e sommozzatori; ebbene, le affondarono; e, particolare incoraggiante, poi sono tutti morti in età avanzata e a casa; e anche Giulio Cesare mica fu ucciso in Gallia o Britannia o Germania, etc, dove entusiasticamente andò a cacciarsi in immani guai, ma in senato dove entrò con le mani in tasca e fischiettando una gaditana. La morte è di stretta competenza delle tre Parche, quando arriva arriva; e sono molti di più quelli che muoiono piangendo nel loro letto, di quelli che vanno in prima linea ridendo e arrabbiati. Certo, se fossi io il commissario pretenderei il porto d’armi per morire (tra cent’anni) in combattimento, se no le Valchirie non mi portano nel Valalla. Longo non ha nemmeno di tali problemi burocratici, e la pistola la porta di mestiere. A parte che, come spiega Perpetua a don Abbondio, “se questi cani dovessero mordere ogni volta che abbaiano… ”

 Ora Longo sta dicendo che manda via i manager se non assumono. Hic Rhodus, hic salta. Voglio vedere se lo fa, ma entro una settimana.

 Riassunto. La Calabria ha un bisogno disperato di quello che mai ebbe in quattromila anni: l’autorità. L’ultimo a comandare fu il re Italo, ma solo perché non è mai esistito come persona privata; gli altri, hanno fatto tutti finta. Nella Serenissima Repubblica di Venezia, chi non era d’accordo finiva nel Canal Grande senza tanti birbimboli; qui da noi tutti hanno sempre fatto il loro comodo fingendo di obbedire alcuni e altri di comandare: quattromila anni di “poi vidimu”, e non abbiamo visto niente mai.

 Coraggio. Facciamo una sola azienda regionale, con un solo responsabile. Chi fa bene, premiamolo; chi sbaglia o truffa, a calci a casa, e, soprattutto subito la foto sulla prima pagina dei giornali. Farà ricorso, e magari lo vince… ma intanto si deve pagare l’avvocatone, e con la moglie passa parecchi brutti quarti d’ora.

Ulderico Nisticò