Fatture pagate due volte dall’Asp di Reggio Calabria, 7 condanne e 10 assoluzioni


Sette condanne e 10 assoluzioni: è questa la sentenza, arrivata in serata nell’aula bunker di Reggio Calabria, nel processo “Fiscer” nato da un’inchiesta coordinata dalla Procura e condotta dalla guardia di finanza su fatture pagate due volte dall’Azienda sanitaria provincia di Reggio Calabria in favore dello “Studio radiologico sas di Fiscer Francesco” di Siderno. Al termine della camera di consiglio, il Tribunale di Reggio Calabria ha emesso la sentenza nei confronti di imprenditore e funzionari pubblici. Stando alle indagini del procuratore Giovanni Bombardieri e dei pm Giulia Scavello e Marika Mastrapasqua, gli imputati erano accusati, a vario titolo, di truffa all’Asp e al servizio sanitario regionale, ma anche riciclaggio, falso e alterazione di informazioni.

Sono stati condannati gli imprenditori Francesco e Giuseppe Fiscer (5 anni e 6 mesi di carcere). Cinque anni, invece, sono stati inflitti all’amministratore di fatto Pietro Armando Crinò. Sono stati giudicati colpevoli anche i soci Caterina Caracciolo (3 anni) e Roberta Maria Strangio (3 anni), l’ex direttore generale dell’Asp Ermete Tripodi (4 anni) e l’ex direttore amministrativo Pasquale Staltari (3 anni e 3 mesi).

Sono stati, invece, assolti l’ex amministratore di fatto dello studio Antonino Strangio e i funzionari dell’Asp Giuseppe Maria Latella, Giuseppe Falcone, Raimondo Delfino, Antonino Vartolo, Bruno Logozzo, Daniela Nocera e Francesco Sorrentino e l’ex direttore sanitario Salvatore Barillaro. È caduta l’accusa anche per l’ex commissario straordinario dell’Asp Santo Gioffrè, lo stesso che ha sventato il doppio pagamento di una fattura da 6 milioni di euro alla clinica “Villa Aurora” denunciando tutto in Procura.

In questo processo era accusato di aver firmato, il 3 aprile 2015, pochi giorni dopo il suo insediamento, un mandato di pagamento all’istituto radiologico di Siderno relativo a una transazione al termine di una procedura iniziata dai suoi predecessori. Un’accusa che lo stesso Gioffré ha sempre contestato e al termine del processo, il giudice gli ha dato ragione.