Giù le mani da Roald Dahl


Sono felicemente sorpresa dal vedere che l’opinione pubblica non ha esitato a schierarsi dalla parte dello scrittore per chiedere rispetto dell’integrità dei suoi testi e ringrazio Pierdomenico Baccalario per aver prontamente lanciato una petizione su Change.org.

La deriva inizia con il cambiare “qualche parola”, in nome del politicamente corretto, prosegue col cambiare qualche frase, in nome dell’attualizzazione della storia e della soppressione di eventuali stereotipi sessisti, e avanza verso un solo punto d’approdo che si chiama censura.
La decisione presa dai detentori dei diritti di Dahl mi appare irrispettosa e ipocrita.

Irrispettosa perché solo l’autore ha il diritto di cambiare ciò che ha scritto e può farlo in virtù delle sue ragioni: sono cambiate le sue idee, è mutata la società che lo circonda, il linguaggio ha subito tali trasformazioni da rendere poco fruibili i suoi scritti. Ma deve essere sua la scelta e suo l’intervento.
Ogni persona che scrive – ma direi ogni persona che legge, che opera in qualsiasi settore e vive – ha diritto ad avere ed esprimere la propria opinione e la propria diversità. La letteratura, e più ampiamente l’arte, non può e non deve essere a immagine e somiglianza di un qualsiasi sistema dominante, altrimenti il rischio è quello di una totale omologazione. Il ruolo di ogni forma artistica è esattamente il contrario: non celebrare ma mettere a nudo il re.

Quando prevale il pensiero unico, scompaiono le differenze e la democrazia corre un serio rischio e corre un rischio ancora più serio la libertà d’espressione.
La democrazia non è protezionismo. E smettiamola di chiamare ogni gesto volto a epurare e cancellare “politicamente corretto” in nome di un ipocrita senso del rispetto degli esseri umani, qualunque sia il loro colore della pelle, il loro credo, il loro genere, binario o non.

Perché, se non la smetteremo, il passo successivo sarà la messa all’indice e l’istituzione del Ministero stampa e propaganda per fare come si faceva negli anni Trenta, quando il regime eliminava ogni libro che potesse avere “sui lettori dannose influenze per i buoni costumi o che in ogni modo contraddicesse al Regime e ai suoi fini educativi”. E nel caso di libri di difficile epurazione l’estremo rimedio sarà il rogo, ed ecco che lo scenario delineato da Ray Bradbury in Farenheit 451 sarà vicinissimo. In Italia credo che l’ultimo rogo risalga al 1949 quando in molte parrocchie furono bruciati il Manuale del pioniere e altri libri di Gianni Rodari, divenuto diabolico perché in odore di comunismo. Ma due anni fa l’intera nazione ha celebrato il centenario della sua nascita con cerimonie e nuove edizioni, senza che nessuna di esse sia mai stata epurata. Per fortuna.

Ci raccontano che le modifiche ai testi di Dahl verrebbero fatto per “adeguare” i testi alla sensibilità contemporanea (a rischio di creare dei falsi storici) ma si tratta di gesti che rivelano una sensibilità pari a quella di chi, cinque secoli orsono, decise che la nudità non poteva essere esposta nei luoghi di culto e fece mettere “le braghe” alle figure michelangiolesche del Giudizio Universale dipinto nella Cappella Sistina. Altre opere furono completamente distrutte. Anche loro avevano deciso di adeguare i dipinti alla “sensibilità” della Controriforma.

L’ultimo argomento che mi viene in mente è il diritto alla conoscenza di ciò che ha preceduto le nostre esistenze: quando leggo un libro, guardo un quadro, visito un paesaggio con le sue architetture e i suoi giardini, lo contestualizzo nell’epoca storica in cui ha preso vita. E la storia è fatta di guerre, progressi tecnologici e scientifici, natura, arte, letteratura e cultura. E ogni mente in formazione ha il diritto di sapere che questo mondo, così “politicamente corretto” a cui qualcuno aspira, non è sempre esistito. Sebbene il linguaggio sia importante, perché attraverso di esso possiamo coprire o svelare universi simbolici, esso non è tutto.

Sarebbe ancora più importante che, a parole invariate, il mondo mostrasse maggior rispetto. Perché se la n-word è stata eliminata ma negli USA – anche dopo le due presidenze Obama – le vite dei neri (afroamericani e non) è come se fossero immerse in un loop fatto di omicidi ricorrenti, così ben narrato da Travon Free nel cortometraggio “Due estranei”, allora siamo tutti irrimediabilmente condannati. Le parole sono importanti ma l’insidia è altrove ed è questa insidia che dobbiamo stanare.
Ogni persona che legge rivendica il proprio diritto a incontrarsi e scontrarsi con le parole scritte e a decidere con la propria testa quali siano offensive e quali no.
Quindi, giù le mani da Roald Dahl, oggi, per salvare noi, oggi e domani.

Patrizia Fulciniti
Scrittrice