Gli “Argagni” riprendono vita a Sant’Andrea Jonio


Le ceramiche 
Anche l’artigianato, l’altro polo della “ricchezza” andreolese, in passato e stato fiorente con molti muratori e numerose botteghe di falegnami, calzolai, fabbri, costurieri e vasai.
La nostra produzione ceramica si limitava alla mezza maiolica e alla terracotta, non poteva perciò avere il carattere suntuario dei lustri (che richiedono tre cotture), o delle altre maioliche istoriate che si producevano in officine più famose delle nostre dove le tecniche utilizzate erano più raffinate.

Non lo poteva avere anche perchè si rivolgeva prevalentemente ai mercati locali e soddisfaceva le richieste di un’economia tanto povera che fino a pochi decenni addietro ricorreva ancora al baratto con generi alimentari per esitare i prodotti ceramici.

La tipologia mirava soprattutto a soddisfare le esigenze della quotidianità in ambito domestico -principalmente cucina e dispensa – con un ricco repertorio di forme che vanno dai bicchieri al salvadanaio.

Dopo la foggiatura i pezzi venivano ingobbiati immergendoli in un bagno di caolino, cioè in un largo recipiente con acqua dove era stato disciolto il caolino.
L’ingobbio (o bianchetto) nascondeva il colore dell’argilla sottostante e, oltre che per immersione, veniva anche applicato aspergendolo sulle ceramiche con un bicchiere o con una tazza.

Seguiva una lenta asciugatura, poi i vasi venivano cotti per la prima volta.
L’operazione successiva era l’applicazione di una vernice (o cristallina) piombifera sul bianchetto, che con la seconda cottura diventava lucida e impermeabile.
La cristallina si preparava riscaldando il piombo per trasformarlo in ossido piomboso; l’ossido veniva poi mescolato col quarzo in un miscuglio che andava disciolto in acqua e applicato per immersione sui pezzi già ingobbiati.

Il piombo e un elemento tossico sia per il ceramista che lo manipola sia per chi utilizza le stoviglie con vernice piombifera e la legge ne vieta l’uso nelle cristalline e negli smalti.
Fino a pochi decenni addietro i maiali venivano uccisi nelle pubbliche vie con modalità, adesso, giustamente vietate; nella “limba”, profondo vassoio troncoconico per alimenti, le massaie forti raccoglievano il sangue che a fiotti fuorusciva dallo squarcio sul collo dell’animale durante la truculenta scena della macellazione.
Le pignatte per la cottura dei legumi e le pentole venivano realizzate con argilla rossa e impermeabilizzate con uno strato interno di cristallina; dopo la cottura, quest’argilla, il cui colore e dovuto alla ricca concentrazione di ossidi di ferro, resiste bene alle variazioni di temperatura.

Tra le altre stoviglie ricordiamo i graziosi boccali da vino, monoansati, con orlo circolare o trilobato e i piatti con la caratteristica decorazione alla tarantina; i più grandi avevano dei fori sul cercine che ne consentivano l’utilizzo – sospesi alle pareti con una sagola – come piatti da pampa.

Altre forme tipiche erano quelle dei “salaturi”, vasi cilindrici per conserve con quattro manici al di sotto del bordo e della “lancedda”, recipiente per acqua con ventre globoso o biconico, largo collo cilindrico e ampie anse a nastro.
Un orciolo di forma globulare con stretta apertura e piccoli manici, dotato di un corto cannello centrale che fungeva da versatoio, era utilizzato come recipiente da vino (“piriattu”).
Nel nappo, una ciotola di foggia simile a quella dell’ongaresca ma molto più piccola, le famiglie di una stessa ruga si scambiavano, a turno, il lievito del pane.

I colori erano applicati sul bianchetto e utilizzati con misura, in ornamenti stilizzati o con semplici pennellate, da una tavolozza limitata alle tinte fondamentali e pit antiche del ceramista: giallo, verde ramina, bruno manganese e bianco; la sobrietà della decorazione esaltava la semplicità delle forme.
I ceramisti hanno inventato pure un…frigorifero. Quale? La fiasca di terracotta, “vozza” in dialetto; non è impermeabilizzata nè dall’ingobbio nè dalla cristallina e, riempita d’acqua, trasuda; il liquido che filtra verso l’esterno, evapora facilmente sottraendo al recipiente, che così si fredda, circa 539 calorie per ogni grammo di acqua che si trasforma in vapore.

L’effetto frigorigeno del meccanismo appena descritto e reso ancora pia efficiente da condizioni meteorologiche che rendono l’aria secca o poco umida.
I contadini preferivano quindi questo recipiente per portare l’acqua da bere in campagna e non la bottiglia di vetro che ha invece proprietà opposte.
Adesso una curiosità.
Una volta si osservava frequentemente sui tetti di S. Andrea, il “gau”, una sorta di goffo pupazzo dall’aspetto grifagno o mostruoso che veniva collocato sui punti pia alti delle case con funzione apotropaica.

Reminiscenza – come il corno ed i ferri di cavallo – di tempi in cui la superstizione era un problema sociale, fino a pochi anni fa se ne vedevano ancora alcuni. Venivano modellati con argilla, poi cotti e infine vivacemente colorati; la loro diffusione a S. Andrea era quindi sicuramente in relazione con l’estesa pratica dell’arte figulina in paese.

L’Associazione “Primavera Andreolese” nel corso di questi anni si è prodigata per riprendere e rendere attuale una attività che ha connotato la storia economica e sociale di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio.

Ringraziamo innanzitutto l’Amministrazione Comunale che ci ha fornito i locali e le attrezzature necessarie, Andrea Mirarchi, mastro “argagnaro”, che con la maestria ha consentito di riprendere la lavorazione dell’argilla, Vittoria Codispoti per la sua innata capacità di modellare l’argilla e per l’impegno profuso per far compiere un salto in avanti alla nostra attività attraverso la decorazione e l’acquisizione delle tecniche per giungere al prodotto finito della ceramica.

Ringraziamo, inoltre, Annamaria Betrò, Elena Gallo, Antonella de Maria, Fiorella de Maria ed Agata Codispoti per la loro passione, creatività e abilità nel decorare i vasi. Un particolare ringraziamento ad Antonio Commodaro di Ideart per i preziosi insegnamenti. Infine, ma non per ultimo, il nostro ringraziamento va al nostro socio Giovanni Jannoni, per l’impegno profuso per l’organizzazione dell’attività e alla nostra Elisa che ha creduto fin dall’inizio a questa iniziativa.