“Guerra sia…”, dunque meglio la guerra della pace?


fronte_guerra_libia<<Oggi come ieri sembra un luogo comune parlare e lodare la pace, disconoscendo troppo spesso i meriti della guerra. Si tralascia costantemente quanto di buono ha portato la guerra già dai tempi antichissimi in ordine a libertà, democrazia, disciplina e giusto vivere sociale. Basta ricordare Maratona, Salamina, le Termopili, Zama, o gli eroi e i grandi guerrieri come Orazio Coclite, Epaminonda, Alessandro Magno, Giulio Cesare; questi e tanti altri grandi, non sarebbero mai stati lodati per le loro imprese portatrici d’onori e beni economici e sociali al mondo, se fossero stati schiavi procacciatori di una pace serva di padroni ed inique tirannie. Presso i Cartaginesi, prebende ed onori pubblici erano possibili in numero uguale alle battaglie cui si era preso parte; addirittura pare che non ci si potesse neppure sposare se non si avevano sulle spalle anni di guerra e un buon bagaglio militare. Che dire, poi, delle tante religioni, cristiana, ebraica o islamica per esempio, che fecero della guerra uno strumento di diffusione o imposizione della loro fede, dei loro dogmi, delle loro norme di vita? Numerosi sono gli ordini cavallereschi e militari, nati in seno alle religioni e per l’affermazione delle quali combatterono e fecero imprese e cose stupende. Là onde si vedono le brutture della pace, come l’insolenza, la superbia, l’orgoglio, i disvalori morali e civili, la corruzione di menti ed intelletti nobili e sublimi, fanno riscontro gli atti di valore puro nella guerra, la bontà, la magnanimità e la democrazia per le masse calpestate dalla prepotenza di pochi. Solo i deboli, i vili, gli oziosi ed effeminati non comprendono la bellezza del romano “bellum”, ossia guerra (e poi “bello”), e fomentano una pace invirtuosa, propagatrice di leggi inique, di malcontento ed odio tra i ceti sociali, portatrice di governi demagogici e libertini, fautori di costumi molli, lascivi e depravati.

D’altra parte, se diamo un’occhiata alle Sacre scritture non mancano certo le parole che inneggiano alla guerra. “Maledetto colui che compie l’opera dell’Eterno fiaccamente, maledetto colui che trattiene la sua spada dallo spargere il sangue”; lo stesso Gesù Cristo, secondo il vangelo di Luca, disse ai suoi discepoli: ”Chi non ha una spada venda la sua veste e ne compri una”. Quante guerre furono fatte, migliaia d’anni fa, in nome di Dio? Egli, nella bibbia ebraica, è considerato il Dio degli eserciti, della guerra. E secondo quanto attestano le sacre scritture, le guerre fatte per comandamento di Dio superano di gran lunga quelle descritte in qualunque altro libro. Attraverso la guerra, infatti, Dio intendeva realizzare i suoi piani nel mondo. “Sterminerai tutti i popoli che il Signore tuo Dio sta per consegnare a te; il tuo occhio non li compianga (Dt. 7,16). La sacralità della guerra è tale che anche in cielo S. Michele combatté aspramente assieme ai suoi angeli contro il dragone. Ed il Corano? Anch’esso, la “bibbia” degli islamici, contiene alcune sure che avallano una strutturazione della società e dell’identità nazionale attraverso la guerra. Che cosa sono state le crociate, cos’altro è la jihad che ancora oggi è portata avanti dai musulmani, imperterriti nelle loro azioni suicide, fedeli propugnatori della guerra come strumento d’affermazione del loro essere?
Che la guerra, dunque, non sia in odio a Dio e che sia preferibile alla pace, è dimostrato anche nel nuovo testamento da una frase di S. Giovanni che, ad alcuni soldati dubbiosi sulla strada da seguire per conseguire la salvezza, rispose: “Siate contenti dei vostri stipendi e non fate violenza ad alcuno”. Se essere professionisti della guerra fosse stato contrario alla religione, S. Giovanni avrebbe potuto rispondere di gettare le armi, di darsi alla vita contemplativa, di fare i mercanti. Sono molti, poi, i vantaggi che la guerra arreca agli uomini sia nel fisico sia nella mente, acuendone l’intelletto e rendendo il loro corpo agile, forte ed allenato a fronteggiare ogni situazione. Gli antichi Cimbri andavano in battaglia cantando perché vi sentivano una dolcezza che non trovavano nei noiosi periodi d’inutile ozio, di pace. E cosa sarebbero stati, il generoso Ettore, il fortissimo Achille, il fiero Annibale, il geniale Cesare, se non avessero avuto l’opportunità di dimostrare il loro valore, di portare tradizioni e costumi in posti sconosciuti e destinati a rimanere tali per chissà quanti secoli ancora, senza le guerre di cui furono indiscussi protagonisti, vinti o vittoriosi? E Sparta, ed Atene e la grandezza di Roma? Chi mai avrebbe saputo cosa sono l’ordine e la disciplina, l’obbedienza inviolabile, la santità della Patria? Se non ci fossero state le guerre, la democrazia ateniese sarebbe stata un bene solo per sé, ignorata dai più; la sua arte, la sua cultura, la sua civiltà sono state propagate agli altri popoli solo grazie alla guerra. La stessa magnifica potenza di Roma non avrebbe potuto portare alcun giovamento sociale e civile ai popoli barbari se la Città eterna non avesse avuto il grande merito di essere una potenza economica ma soprattutto bellica. Finiamola, allora, di insistere sempre e comunque in lodi per la pace e ringraziamo Dio, il Dio degli eserciti che non ce la faccia mai mancare>>.
Immagino, a questo punto, cosa penseranno i lettori, soprattutto a causa delle stragi dell’Isis; e anche a me, queste considerazioni sembrano paradossali. Che abbia sbagliato a tradurre i termini pace e guerra e quindi abbia scambiato, “Eiréne” e “pòlemos”? Chissà!

Adriano V. Pirillo


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