Abbiamo sentito, stanotte a Soverato, che il cantante Bennato faceva dire ai briganti “chi se ne fotte del re Burbone”, testuale. Ebbene, si tratta di un falso storico.
I briganti del 1860 e seguenti, come quelli del 1806-12, come quelli del Ruffo nel 1799, combattevano non “disinteressandosi del re”, ma per il re, per il ritorno del re sul trono delle Due Sicilie. Ovvio che uno può essere d’accordo o meno; però nessuno può attribuire ai briganti i propri personalissimi sentimenti e le proprie opinioni e ideologie politiche.
E lo so bene che ormai dal 2011 vaga per il Meridione un’interpretazione diciamo socialdemocratica del brigantaggio, spacciato persino per repubblicano: ma ripeto che è un falso storico. I briganti combattevano per il re: forse più esattamente, per il Regno, di cui qualcuno, pro tempore, era re.
Altri esempi: nel 1528 Catanzaro affrontò, e vinse, l’assedio francese, dichiarando di farlo per Carlo d’Asburgo, di fatto reggente per la madre regina Giovanna III, e dal 1519 imperatore del Sacro Romano Impero. Nel 1946, il Meridione, Soverato inclusa, votò massicciamente per la monarchia.
Questo riguarda la politica. Se poi vogliamo fare un poco di antropologia, il brigante, e le brigantesse, sono esattamente il contrario di miti cittadini da tema in classe di educazione civica: furono i difensori della Tradizione (aberrazioni comprese!) contro il modernismo liberale; della Religione contro l’ateismo di Stato; della monarchia contro i borghesi timiocratici (vedi più avanti)
È noto l’episodio accaduto a Gaeta, dopo che Francesco II aveva dissennatamente riportato in vigore la costituzione sospesa dal padre. All’ordine del generale di gridare “viva la costituzione, viva il re”, i soldati fecero un passo avanti e gridarono in coro “viva o’ re!” Ripeto che ognuno la può pensare a suo senno, ma quella era la mentalità del brigante, e non altra; e non voleva nessunissima costituzione. Del resto, alle prime elezioni del Regno d’Italia, nel febbraio 1861, avevano diritto di voto solo il 2% della popolazione maschile; votò l’1, perché il papa aveva vietato ai cattolici di partecipare: non expedit.
Diciamo poi qualcosa di altri luoghi comuni che dilagano sui social, circa grandiose ricchezze e poderosissime industrie. Mongiana esisteva davvero, fabbrica di Stato, e tuttora vi consiglio di visitare il Museo (ho partecipato all’inaugurazione, anni fa) e i ruderi. Poi passate da Razzona di Cardinale, ferriera privata del Filangieri. Vi farete un’idea realistica delle dimensioni, che erano molto modeste. E non fabbricavano binari, in un Regno che, rinvia oggi e rinvia domani, nel 1860 aveva in tutto 99 km di ferrovie, da Salerno a Capua.
E attenzione che, nel 1860, in tutta Italia, dalle Alpi a Lampedusa, si contavano meno industrie della sola città inglese di Manchester.
Mongiana non venne chiusa ma privatizzata, e, comprata dal Fazzari, lavorò altri vent’anni. Produceva un fucile moderno, un cui esemplare si trova nel Museo militare di Catanzaro. Ci sono interessanti e documentate pubblicazioni del Falcone, del Franco.
Conclusione, il Meridione ha bisogno di verità, non di infondate emozioni. O meglio, di lasciare le emozioni alla letteratura, alla poesia, alla canzone… senza pensare, e far credere che siano vere.
A proposito di canzoni, eccome una genuina del 1799, scoperta dal Croce: A lu suon de lu grancasciu, viva viva lu populu basciu. A lu suon de li tamburrielli son tornati i povarielli. A lu suon de li campane, viva viva i populani. A lu suon de li violini, morte morte ai giacubbini”. Giacobini, per estensione, erano chiamati tutti i filofrancesi di quell’anno e seguenti. Avete capito come la pensavano i briganti?
Buon 2025.
Ulderico Nisticò