I Vitelloni e la cultura in Calabria e a Soverato


Soverato_vista_aerea4 Ogni tanto qualche amico ammicca e mi suggerisce, con fare furbetto, che siamo d’estate e la gente si vuole divertire; con il sottinteso che la cultura si può fare solo d’inverno, e invece d’estate, jè jè e grammofoni ad altissimo volume. E il mare, come no? Praticamente solo l’abbronzatura, giacché a nuotare in acqua non c’è quasi nessuno; e sport acquatici, manco dirlo. Insomma, siamo ai Vitelloni di Fellini, film già di satira amara e pesante ironia quando lo ha girato, nel 1953; esso mostrava dei giovanotti con il chiodo fisso del divertimento; una specie di generazione Bataclan dell’epoca.

 Certo che ai vitelloni felliniani non interessa la cultura, né d’estate né in nessuna delle altre tre stagioni e se ce ne fosse una quinta. Perciò, in Calabria nel 2016 (63 anni dopo!), niente cultura, solo grammofoni, abbronzatura e jè jè. Non meravigliatevi di Soverato: sta in Calabria.

 In Calabria, del resto, la cultura ufficiale e scolastica è scolasticamente e ufficialmente triste, depressa e piagnona. Il calabromedio, esclusi i presenti, è triste e ha pure la faccia triste e un dialetto triste, e, le rare volte che parla italiano, un italiano tristissimo e greve, da verbale del consiglio di classe. Guardatelo, qualunque cosa dica e in qualsiasi situazione si trovi: guardate Oliverio, che pure ha fatto carriera, Dio solo sa perché, ma l’ha fatta; o Viscomi, che era quasi normale prima e oggi, vice, Dio solo sa perché, ma vicepresidente, ha assunto subito l’espressione d’ordinanza, triste; guardate i vari Gangemi e i vari Abate, che pure, Dio solo sa perché, vendono copie a centinaia, però hanno gli occhi del gatto bastonato; e il non plus ultra della malinconia, la buonanima di Reitano, il quale da giovane era un bravo cantante e autore, poi imboccò la remunerativa strada del lacrimatoio e, con testi sempre più brutti e guastandosi la voce, ottenne, ovviamente, un enorme successo. Fanno eccezione pochissimi, tra cui Callipo, Sacco e chi scrive.

 Come si fa cultura, in un posto triste? Al massimo al massimo, sarà una cultura triste. Come si fa a giovarsi della cultura per turismo, con la faccia triste?

 Altrove, invece, campano alla grande con la cultura; e mica solo ad Atene, Roma, Firenze, Parigi… infiniti e sconosciutissimi paesini umbri e toscani fanno denaro e lavoro con un quadro, una torre rabberciata, una mezza leggenda di improbabili guelfi e ghibellini… Come fanno? Semplicissimo. Se fossimo in Calabria, subito un professore politicamente corretto si affannerebbe, con faccia triste, a dare ragione o agli uni o agli altri (di solito ai guelfi, che erano del papa: il professore è ateo, però clericale); in Toscana danno torto a tutti e due (leggete il VI del Paradiso: ogni tanto, vi prego, leggete qualcosa!), si fanno due risate (tanto entrambi quei partiti di tagliagole sono stramorti da ottocento anni), e attirano i turisti.

 Certo, non li ammorbano con una conferenza letta in tono sempre uguale per cinquanta pagine: ci fanno uno spettacolo. Beh, anch’io, nel mio piccolo, con “Le dee stelle” a Davoli il 10 e “Cantami o Musa” a Petrizzi l’11 e il 12… Eccetera per i grandi spettacoli degli anni scorsi… Roba buona, però con grande pubblico interclassista.

  Dove c’è cultura, infatti, la gente va, si sforza di capire, gusta la scena; se li portate a vistare un castello con fantasmi, o ai cannoni di Crotone (i superstiti, ma ce n’erano dovunque) della guerra contro i Turchi… già, non erano pacifisti, allora, e né i Calabresi né i Turchi cercavano il dialogo: e giù cannonate; e, in privato, vi racconto pure come fabbricavano la polvere da sparo. A parte ogni considerazione di filosofia della storia, il “dialogo” non è divertente ed eccitante, le cannonate lo sono! E che spettacolo, anche, per i turisti.

 Bisogna saperle, però, le cose; Scolacium, ovvero Roccelletta, non è una località della Magna Grecia, ma una bella ed edonistica città romana con le attrazioni nominabili e innominabili; e la grande chiesa è normanna e non di altri flambès; e Pitagora, tra un predicozzo pacifista vegano e l’altro, mandò l’esercito di Crotone a distruggere Sibari,  l’ordine fu esageratamente eseguito, un po’ troppo alla lettera; e i nostri paesi collinari sono lì non per “fuggire dalla guerra” ma per combattere più comodamente e con più gusto i Saraceni e, secoli dopo, i Turchi. Tommaso Campanella non è importante per aver dissennatamente partecipato a una sgangherata e dubbia congiura da gruppuscolo, ma per aver scritto la Metafisica. Bisogna saperle, queste cose, e saperle raccontare, farci un film, uno spettacolo, un romanzo possibilmente in italiano scorrevole.

 L’estate del 2016, ormai finita, è passata, ahimè, quasi senza attività culturali, con qualche sporadica eccezione. Oliverio e Viscomi la cultura la ignorano (nel senso politico: per il resto, dotti e santi subito); i comuni non ne fanno con la scusa dei soldi, e qualcuno la rifiuta anche gratis. Qualcuno la cui idea di cultura è “quello è amico mio”, meglio se in inglese maccheronico: friend of my.

 Per il Quarzo (ostinatamente detto COMAC), la cultura sono delle cassette della frutta a formare un curioso pupazzo; e per il resto è una paninoteca al buio con lampade cimiteriali.

 Del resto, la notizia più importante dell’estate calabrese è che Corbelli riuscirà a costruire – dice lui – il cimitero dei “migranti”. I quali stranieri in Africa e Asia, intanto, alla notizia di dover essere sepolti appena arrivano a Tarsia, ripetono il vecchio sempre valido “Terque quaterque… ”. Ci sarà un goliarda che sappia continuare, spero.

 Quella sì che è cultura, ragazzi: ma certo, anche la goliardia. Coraggio, è bandito un concorso; vediamo chi traduce e capisce quello che scrisse l’antico goliarda per dire che era stanco e di che: “sed pluralis genitivus mihi factus est nocivus”. Coraggio, facciamoci, ogni tanto, due sane risate. E chi indovina, un caffè.

Ulderico Nisticò


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