Il 17 marzo di 160 anni fa…


…il Senato regio, e la Camera eletta a febbraio 1861, approvarono una legge di un solo articolo, che, con accuratezza giuridica, aboliva tutti i titoli dei sovrani italiani, inclusa la chilometrica lista di quelli dei Savoia, quelli di re di Cipro e Gerusalemme, portati sia dai Savoia sia dai Borbone; e attribuiva a Vittorio Emanuele II, re di Sardegna, titolo a sua volta abolito, quello unico di re d’Italia. Senza nominarli, si affermava che il Regno era stato istituito con i plebisciti di Sicilia, Napoli, Umbria, Marche, e altri simili precedenti. Mancavano ancora il Veneto, il Trentino, la Venezia Giulia, la Dalmazia; e il Regno proclamava sua capitale Roma, che tuttavia rimaneva a papa Pio IX con il sostegno di truppe francesi. Sarà effetto del 1866, 1870, 1918… La monarchia durerà fino al 1946.

Come ci si era arrivati, al 17 marzo 1861? Nel XVIII secolo, l’Italia era sostanzialmente indipendente (libertas Italiae), anche se divisa in molti Stati; dal 1796 al 1814, però, aveva subito varie forme di dominio napoleonico, con le riforme giuridiche e amministrative che quello comportava dovunque si estendesse. Tra il ’14 e il 15, a seguito di eventi troppo lunghi qui da riassumere (ma leggete la mia Storia delle Italie dal 1734 al 1870, Città del Sole ed.), tale si formò la situazione:

– Rispetto al XVIII secolo, notevoli le perdite territoriali: la Corsica, venduta da Genova nel 1768, rimase alla Francia; il Canton Ticino rimane tuttora alla Svizzera: Malta e Isole Ionie vennero in possesso della Gran Bretagna;

– Regno Lombardo Veneto, praticamente dominio austriaco; e annessione diretta all’Austria di Trento, Venezia Giulia, Istria, Dalmazia;
– Regno di Sardegna, con l’isola e Liguria, Piemonte (e attuale Val d’Aosta), Savoia e Nizza;
– Ducato di Modena, agli Asburgo-Este; con Principato di Massa, nel 1829 annesso a Modena;
– Ducato di Parma in vitalizio a Maria Luisa (Luigia), moglie, dal 1821 vedova di Napoleone;

– Ducato di Lucca, ai Borbone Parma; nel 1847, tornati a Parma quelli, Lucca fu annessa alla Toscana;
– Granducato di Toscana, agli Asburgo-Lorena;
– L’Elba, per nove mesi a Napoleone, poi annessa alla Toscana;

– Stato della Chiesa, con Lazio, Umbria, Marche, Romagna, Benevento, Pontecorvo, ma senza più la lontana Avignone;
– Il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia ai Borbone; nel 1816, Regno unitario delle Due Sicilie;
– Monaco e S. Marino.

Tale assetto (come del resto quello di una Germania divisa in 39 Stati), veniva sentito da tutti come precario; e molti Italiani avvertivano come ferita la sostanziale perdita della libertas. Si formularono varie ipotesi confederali o federali; e, dopo il 1846, parvero suscitare entusiasmi la tesi neoguelfa del Gioberti e l’elezione di Pio IX. Tale ipotesi federale sembrò persino avere una concretezza, quando a fianco di Carlo Alberto in guerra contro l’Austria giunsero truppe napoletane di Guglielmo Pepe, volontari toscani e un corpo pontificio. La sconfitta piemontese di Custoza, e l’anno dopo a Novara, la caduta di Venezia, la Repubblica Romana stroncata dall’intervento francese, posero fine a questa fase storica. Nel seguente decennio 1850-60, Toscana e Ducati vennero presidiati dall’Austria; Roma era protetta da truppe di Napoleone III; Ferdinando II, in rapida decadenza fisica (morrà nel 1859), si chiuse al mondo, e il Meridione mentre mostrava una certa vivacità economica (evitiamo fandonie di terza potenza del mondo: ahahahahah), era in preda a desolata debolezza politica e militare.

Cavour, primo ministro sardo nel 1852, si accostò alla Francia, inviando truppe per la Guerra di Crimea a fianco di Francia e Gran Bretagna in soccorso della Turchia contro la Russia; e partecipò tra i vincitori al Congresso di Parigi. Gli altri Stati italiani, anche il RDS che era vasto metà dell’Italia, assistettero al tutto nella più quieta passività.

Incontrandosi a Plombières, Cavour e Napoleone III si accordarono, informalmente, per muovere guerra all’Austria. Sembra che l’intesa fosse: il Nord ai Savoia; il Centro a un principe francese dei Bonaparte, ma Roma al papa; e una federazione italiana con le Due Sicilie. Queste però non vennero coinvolte, e nemmeno avvertite, e nulla fecero per contare qualcosa; e la guerra che ne seguì (Seconda g. d’indipendenza, estate 1859), e gli avvenimenti confusi di annessione a Torino di Milano, Parma, Modena, Bologna, Toscana, e cessione alla Francia di Savoia e Nizza, si svolsero nell’apatia del RDS. Tentò di fare qualcosa Carlo Filangieri, principe di Satriano duca di Cardinale: ne parleremo un’altra volta, dicendo qui che, deluso da Francesco, lasciò Napoli e l’Italia, e passò a Marsiglia, tornando solo a cose finite.

Il governo napoletano, dunque, non assunse dunque alcuna iniziativa diplomatica, e meno che meno bellica. La flotta, numerosa e moderna, rimase in porto; l’esercito, inutilmente numeroso, era di scarsissima efficienza, e in mano a generali decrepiti: Ruffo di Castelcicala aveva combattuto con gli Inglesi a Waterloo… 45 anni prima, e stava in, diciamo così, servizio! Roba da legge Fornero! E decrepiti non solo per età.

Nel fiato di morte del Sud, e motus in fine velocior, congiurarono contro Francesco II gli zii Aquila e Siracusa; e, separatamente, la matrigna; qualche ambiente liberale; gli emissari piemontesi; qualche mazziniano… Mentre la Sicilia tornava ad agitarsi contro Napoli come nel 1820 e nel 1848-9. Francesco II non prese alcun provvedimento, e non sentì il dovere di abdicare. Io ogni tanto sogno un bel colpo di Stato: un certificato medico fasullo, e la reggenza in mano alla regina Maria Sofia. Avremmo perso lo stesso, ma con bagliori di sangue e di gloria.

Insorti siciliani si rivolsero a Garibaldi, che navigò e sbarcò comodamente; batté i generali inetti e demotivati; e da Reggio a Napoli corse non sparando un colpo: la famosa battaglia di Soveria Mannelli è una patacca storiografica. Francesco, facilmente ingannato da Napoleone III, prima riportò in vigore la costituzione sospesa nel 1849, e odiatissima dal popolo e dai soldati fedeli; poi abbandonò la capitale, dove Garibaldi, il 7 settembre 1860, fece distratto ingresso in pacifico treno, vagone poi promosso dall’iconografia risorgimentale a bianco impetuoso cavallo da guerra! Al Volturno, però, i soldati borbonici rimasti, pochi ma valenti, e valenti perché pochi, sulle prime misero Garibaldi in serie difficoltà; e lì iniziarono a combattere i primi “volontari”, civili borboniani armati, poi ingiuriati briganti.

Garibaldi, in realtà, puntava a Roma per vendicarsi di Pio IX. Napoleone III, per evitare di dover decidere, a difesa del papa, un diretto intervento militare francese che poteva comportare una grave crisi europea, ne suggerì uno piemontese, con lo stesso re. Di fronte alle truppe del Savoia, Garibaldi, pur padrone di Napoli e che aveva raccolto un 60.000 uomini del Meridione, non sarebbe stato certo in grado, se anche avesse voluto, di affrontare un vero esercito; e se ne andò malinconicamente, e scarsamente salutato, a Caprera.

La difesa di Gaeta finì il 13 febbraio 1861. Intanto dei plebisciti, alquanto artefatti come tutti i plebisciti della storia (esempio, quello di Nizza pro Francia: 43.000 voti su 43.000; altro che Bulgaria!), sancivano le annessioni alla Sardegna: letteralmente chiamate così. I chiacchieroni “paglietti”, come Ferdinando chiamava i liberali, a loro volta subirono gli avvenimenti senza minimamente non dico opporsi, ma nemmeno proporre nulla di nulla: annessi e basta, e andiamo a prendere un babà. Alle prime elezioni, i deputati meridionali erano i più numerosi: ma, come molti parlamentari anche oggi, dovevano essere dei buzzurri arricchiti (avevano diritto di voto solo i benestanti, il 2% della popolazione del nuovo Regno!), e ignoranti con laurea rigorosamente dialettofoni, e votavano a comando dei capi partito. Come oggi: o vi devo fare nomi?

Che l’unificazione fosse stata un fatto eventuale e delle circostanze, lo sapevano tutti; e anche che, stando le cose come stavano, non c’era un altro realistico modo. I tentativi di farne un eroico moto di popolo, da una parte; o dall’altra, e con buffonata cimiteriale, un “genocidio” del Sud sono contraddetti dai modesti avvenimenti che ho raccontato qui. C’era al Sud chi valorosamente insorse con le armi; e chi fu sinceramente deluso; ma oggi c’è chi sull’insoddisfazione campa e spaccia libri, inventando ricchezze che mai furono e promettendo denari e felicità che mai saranno. E tanti ci cascano, bene inteso a patto di non essere chiamati a fare un bel nulla, a parte i sogni e gli applausi.

Alla fine, tutti si adattarono alla considerazione che l’unità politica era necessaria, e che era andata com’era andata; e cosa fatta, capo ha.
La delusione tuttavia pervaderà sia repubblicani sia nazionalisti; mentre i governi liberali, nella loro pochezza (Cavour era morto il 6 giugno dello stesso 1861), si sforzavano di affrontare i tanti problemi ereditati dai secoli.
Apparve comunque evidente, dopo l’unità, la Questione meridionale in quanto divario, con le condizioni naturali ed economico-sociali di grave difficoltà; e con insufficienti interventi; mentre il blocco agrario meridionale mostrava interesse a lasciare il Sud nell’arretratezza; e i pensatori meridionali, come dai tempi di Pitagora, coltivavano, come coltivano, utopie da realizzare per i pronipoti; e intanto a loro va bene così. Ma di questo, un’altra volta.

Ulderico Nisticò