Il caso… o i casi Regeni, e altri processi


L’umana pietà per la triste sorte di Giulio Regeni precede ogni considerazione. E tuttavia è una vicenda complessa e che trascende il singolo caso umano, e ci obbliga a riflettere.

La prima considerazione è come la cosa venga narrata da tv e stampa, che, all’unanimità, si fanno portavoce di una versione ormai divenuta ufficiosa, e tra poco ufficiale: in Egitto, nel 2016, Regeni viene catturato, torturato e ucciso; donde il processo in Italia contro agenti egiziani. Detto così, pare un fatto di cronaca nera; e non lo so.

Intanto, gli agenti egiziani imputati sono contumaci… no, sono senza indirizzo e, come spesso accade ad agenti segreti, forse noti con nomi di copertura e non con il loro vero. Se anche condannati, l’Italia dovrà chiedere l’estradizione… e la cosa mi pare molto improbabile.

Considerazione importantissima e che nessuno fa: Regeni non stava conducendo indagini archeologiche e papirologiche su faraoni morti e mummificati quattro millenni fa; indagava su movimenti sindacali, e inevitabilmente politici. Ebbene, giornali e tv c’informano, come fosse un reato, che i servizi segreti egiziani tenevano sotto controllo Regeni, e lo “pedinavano”.

Era il meno che dovessero fare, penso io, e che farebbe qualsiasi polizia di qualsiasi Stato del mondo, nei confronti di uno straniero che, comunque, compie atti di valenza politica e che hanno a che vedere con l’ordine pubblico.

Qui occorre un corollario. Io non conosco la situazione politica dell’Egitto (e con me non la conoscono il 95% dei giornali e tv), perciò non la giudico. Con lo stesso atteggiamento, però, come non giudico il locale governo, non posso giudicare l’opposizione, e tanto meno parlare dell’opposizione come se avesse ragione per forza solo perché si oppone. Esempio: per anni c’è stata in Siria un’opposizione chiamata democratica, e che ormai tutti sappiamo essere composta di tagliagole amici dell’ISIS, e abbondantemente foraggiata da Stati stranieri. In tale frangente, io stavo e sto con il legittimo governo siriano e con il suo valoroso esercito e alleati curdi, e ho approvato ogni cosa che Assad, e con lui Putin, abbiano fatto e facciano contro quella opposizione. Non so se è chiaro.

Dell’Egitto, ripeto, non so nulla, né del governo né dell’opposizione. I giudici di Roma, invece, hanno il dovere di saperlo, prima di giudicare.

Insomma, che ci faceva, un giovanissimo studente universitario, in uno stato di cose turbato come era, ed è, quello egiziano? Non tentate di farmi credere che fu una paciosa “ricerca”, come fosse, che so, venire in Calabria studiare il dialetto di Bova per decidere, una buona volta per tutte, se è neogreco o greco classico! Non è la stessa cosa, indagare su “ta pròita” di Condofuri, e su movimenti sindacali in una situazione come quella egiziana.

E allora, chi mandò Regeni in Egitto? Lo sappiamo tutti: una professoressa di Cambridge, britannica di origine mediorientale. Come mai questa signora non è indagata, anzi nemmeno tradotta a testimoniare? Una piccola chiamata in correo, no? Facciamo sons e bad sons? NOTA: In inglese maccheronico, figli e figliastri.

Anche per domandarle con quali criteri scelse Regeni e non Chester o Dupont, un italiano e non un inglese o un francese? Se io fossi il giudice, glielo chiederei. Insomma, ragazzi, se processo dev’essere, processo sia! E in un processo sono tutti potenziali colpevoli.

E intanto, tutti vogliono decidere la politica estera italiana nei confronti dell’Egitto; e anche questa cosa mi profuma poco. La politica estera e i processi non dovrebbero farli i giornali.

A proposito di processi, oggi c’è quello a Salvini… però anche a Toninelli e Conte: ahahahahahahah. Mi viene a mente l’aureo proverbio napoletano, “Giachino ha fatt’a forca, e Giachin’e mort’ampiso”, riferito a Murat, Gioacchino, che venne fucilato in base a una sua legge.

Io il processo a Salvini glielo farei per l’8 agosto 2019… Ma quale processo? Condanna e basta, così impara a fare il furbo! Lo stesso, in Calabria, per Invernizzi e soci. Soci? Quei pochissimi che gli sono restati.

Ulderico Nisticò