Il Corso e i commercianti di Soverato


Iniziamo con una lezioncina di storia, inutile per gli anziani che sanno, indispensabile per i meno che sessantenni, che invece di storia locale non sanno un bel nulla. Ragazzi, fino agli anni 1970, Soverato non era “il paese commerciale migliore”, era il paese commerciale solo e unico: Davoli Marina, “i Marini e Davuli”, erano ancora canneti e qualche “barco”, ovvero agrumeto; l’attuale area Montepaone-Montauro, detta “Muscettola” o “a stazzioni e Muntauru”, manco quelli; qualche esercizio al dettaglio c’era a Chiaravalle e Serra: fine. A Soverato, oltre ai grandi commerci all’ingrosso, c’erano negozi di alimentari, abbigliamento, ferramenta, elettricità, officine eccetera. Come paese commerciale unico, Soverato non temeva e non avvertiva concorrenza.

Fino agli anni 1990, ci fu la corsa a chi prima apriva un negozio a Soverato; e si arrivò, pare, verso i seicento esercizi commerciali.
Oggi, nel 2019, numerose, molto numerose sono le saracinesche abbassate e le vetrine vuote. Non mi costringete a fare nomi; e, quando – raramente – uscite di casa, tenete gli occhi aperti e collegati al cervello.

Alcune cause sono fisiologiche:

– ci sono tipologie che a Soverato Centro non hanno più senso, e vanno dislocate in periferia o altrove; e ciò è avvenuto già da almeno trent’anni;
– altre tipologie, come ferramenta, non hanno potenziali acquirenti.
Altre cause sono patologiche:
– ostinazione di fitti altissimi;
– modesta qualità della merce: s’intende, detto in generale;
– lo stesso, sempre detto in generale, per la competenza.

Aggiungete la crisi mondiale, che dilaga dal 2007, e nessuno professorone con 666 lauree ha trovato uno straccio di soluzione; non l’hanno trovata in Europa, figuratevi nella miseranda Calabria.
Fatte queste premesse, l’ultimissimo motivo di difficoltà del commercio soveratese sono i lavori del Corso. Ed è mai possibile che ancora qualche esercente sia così sprovveduto da credere che venderebbe di più se la gente potesse usare la macchina?

Se mai, è il contrario: se io voglio (e posso!) comprare, se la merce è appetibile e il prezzo “iustum”, lo faccio mentre passeggio a piedi, mentre se non voglio (o non posso!), non compro manco se il commerciante mi lascia parcheggiare nella sua stanza da letto.
Bisogna dunque riconsiderare tutto il commercio di Soverato. Inutile e dannoso tenere i morenti in vita artificiale: e mi fermo qui.

Servono esercizi di qualità, con merce che non si trovi dovunque; e venduta previa consulenza, e accompagnata da cortesia. Servono prezzi intelligentemente dosati, e non la patetica attesa delle svendite.
Serve un Corso per gente disposta a camminarci sopra a piedi.

Ulderico Nisticò