Il falso mito inglese


 Almeno dal XVII secolo, la cultura divulgata europea è stata dominata e plasmata dal falso mito di un’Inghilterra civile e democratica, esteso poi alla Gran Bretagna. Recenti fatti lo hanno sfatato, o piuttosto finito di sfatare.

 Iniziamo da un comportamento ai limiti dell’incidente diplomatico. Il capo dello Stato italiano, sia pure in visita privata, è stato abbandonato da solo, e senza che il governo o la regina trovassero un qualsiasi duca di Qui o conte di Lì per fargli compagnia. Maleducati.

 Seguirono atteggiamenti squallidi: rifiuto della medaglia d’argento come se quella d’oro gliel’avesse lasciate in eredità il nonno; fischi all’inno italiano; conati di violenze; alla fine, razzismo… contro i soli calciatori di un certo valore, però di pelle nera.

 Dite voi: Ma queste cose succedono anche in Italia, in Papuasia… Verissimo, ed è proprio questo a dimostrare che il mito inglese è falso, e lo era anche nel XVII secolo.

 La democrazia inglese è stata creata, senza volerlo, da un dittatore, Cromwell, il quale iniziò con una frase che fa la gioia di tutti gli antiparlamentaristi, quando disse ai deputati: “Per l’amor di Dio, andatevene”, e quelli via di corsa, non per timore del Signore, ma dei soldati; poi decapitò re Carlo I (1649); e si diede alla persecuzione religiosa, con particolare ferocia nei confronti dei cattolici e dell’Irlanda, ma non risparmiando varie sette protestanti diverse dai puritani; morendo, voleva lasciare il potere al figlio: quanto sono monarchici, i repubblicani!

 Nonostante questo, o forse proprio per questo, l’Inghilterra diventava potentissima, e iniziava l’ammodernamento industriale, che ai primi del XVIII secolo diedero vita a un rapidissimo sviluppo economico… dei ricchi, ad evidentissimo danno dei poveri. Lo scriveva, un secolo e mezzo prima di Marx, il de Mandeville, con la “Favola delle api: vizi privati, pubbliche virtù”, del 1705. Egli teorizza che se le api ricche sfruttano le povere, l’economia prospera; se volessero applicare la giustizia, tutte morirebbero di fame.

 Con i bambini e le donne in miniera, con gli operai assunti e licenziati a piacimento e senza la minima garanzia, divennero ricchissime la vecchia nobiltà feudale e la nuova imprenditoria borghese, presto mescolate tra loro. E a questa classe che l’Inghilterra (dal 1714, Gran Bretagna) deve lo sviluppo produttivo e dei commerci; e – tenetevi forte – il mondo deve il neoclassicismo, il classicismo e gli studi seri di filologia greca e latina, poi in concorrenza con la Germania. E sì: quegli sfruttatori di carne cristiana, i nobili e nuovi nobili furono anche persone coltissime e raffinatissime, e inventarono quello stile britannico poi spacciato per popolare. E quei damerini dediti al lusso, se il re o chi per esso ordinavano la guerra, s’imbarcavano su scomodissime navi e partivano per l’India, o per Waterloo come il generale Picton, il quale, trovandosi in ferie a Bruxelles e senza bagaglio militare, morì in prima linea vestito da ballo.

 Quanto al popolo, le sue condizioni erano pessime sul piano economico, e soprattutto umano. Londra era zeppa di prostitute; e certo era molto meno pericoloso, nell’Ottocento, passeggiare di notte in Aspromonte che in pieno giorno a due passi dalla reggia britannica.

 Fu in questo contesto di contraddittorio arricchimento che i Britannici guardarono al Mediterraneo, e in particolare alla Sicilia per i vini e altri prodotti di lusso, poi anche lo zolfo; poi a Malta per il controllo strategico. In Calabria venivano a comprare olio lampante per illuminazione e combustibile.

 Tutto questo, come vedete, nulla ha a che spartire con la democrazia. Le istituzioni britanniche si formarono – intelligentemente, senza carte scritte – attraverso un compromesso tra la monarchia (la casa tedesca di Hannover, unici parenti protestanti dell’ultima Stuart), i lord di nascita e coscritti, e la ricca borghesia. Ancora alla metà del XIX secolo votavano pochissimi; ed erano rigorosamente esclusi i cattolici.

 Questa è, in sintesi, la storia inglese: una storia, tutto sommato, normale, banale; ed è ora di finirla con i luoghi comuni. La partita di domenica ce lo ha insegnato.

 E chiudo rendendo onore a Francesco Paglia e agli altri, che, il 5 novembre 1953, caddero uccisi dalla polizia inglese che occupava Trieste. Catanzaro gli ha dedicato una nota via.

Ulderico Nisticò